Capitolo 10.

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Quando una porta della felicità si chiude, un'altra si apre, ma spesso guardiamo la porta chiusa per così tanto tempo che non vediamo la porta che ci è stata aperta. (Hellen Keller)

Era finalmente, o sfortunatamente, a seconda da come si voleva interpretarlo, sabato. Questo equivaleva a ricevere la mia agognata paga settimanale. Ero andata via da Chicago con i pochi risparmi che mi erano rimasti, e di certo Roy non si era degnato nemmeno di chiedere o sapere se sua figlia avesse il pane sotto i denti.

Google era stata l'invenzione del secolo. Quella giusta, usata spesso per togliere le persone dai pasticci, e per evitarle figure di merda. O di trovarsi a girovagare senza meta nella periferia della propria città natale, come stava facendo la sottoscritta da più di mezz'ora.

Noely era a casa mia insieme a Lexi e i miei nipotini, alla ricerca di avventure, sotto la loro capanna costruita con le coperte e i piumoni, e ne avevo approfittato per fare quello che andava fatto.

Erano quasi le sei del pomeriggio, e non mi rimaneva ancora molto tempo.

Il navigatore mi stava conducendo verso Weeks Hill Road, un po' troppo lontano da casa mia. Non ci ero mai stata in quella parte della città, e quasi credetti di essermi persa quando notai che attorno a me c'erano solo alberi, cespugli e qualche piccola fattoria sparsa qua e là. Era una zona tranquilla, c'erano poche case, e se non fosse stato per quelle, avrei creduto che quel posto fosse completamente sperduto e dimenticato dalla civiltà.

Quando lessi in lontananza il cartello Willemor+Maxwell, Architects, capii di essere arrivata nel posto giusto. Seguii le indicazioni date da alcuni cartelli in legno che portavano allo studio, e quando parcheggiai la macchina nel parcheggio apposito per i clienti, guardai l'imponente struttura a bocca aperta.

Niente meno che un capolavoro di architettura.

Un'imponete struttura moderna composta da alte ed imponenti vetrate, con dettagli in legno chiaro e pregiato. Aveva almeno cinque piani, ed era elegantemente alta, nuova, lucida e costosissima. Quasi mi sentii a disagio, lì fuori nel parcheggio con la mia umile Renault Twingo color azzurro pastello.

Controllando l'ora, mi resi conto che la contemplazione di una struttura non era in lista, e che dovevo darmi una mossa se volevo arrivare in tempo per prepararmi per la serata di beneficenza.

Quando entrai, mi investì un forte odore di legno e spray per ambienti dall'odore esotico. L'interno, proprio come l'esterno, era elegante, non troppo pretenzioso, e assurdamente affascinante. Era pressoché impossibile staccare gli occhi dai dettagli di quell'ambiente e dall'edificio dalla strana forma. Il posto della receptionist era, con mio orrore, vuoto. Mi accorsi solo allora che quel posto sembrava quasi abbandonato, tanto era il silenzio.

Nessun rumore di stampanti in azione, o rumori di tastiere e mouse, né quello di macchinette del caffè o un singolo respiro. Sulla scrivania disordinata davanti a me, in cui mi dovetti sporgere per sbirciare, erano sparpagliati alcuni documenti, l'ultimo numero di Cosmpolitan, un pacchetto vuoto di gomme da masticare, e un orsacchiotto con scritto I love you, baby e una tazza di Friends.

«Sta cercando qualcuno?» domandò una voce alle mie spalle.

Mi girai verso la voce, colpevole di stare sbirciando, e mi trovai davanti un uomo sulla sessantina, non molto alto, con uno strano abbigliamento vintage stile anni trenta. Si appoggiava ad un bastone in legno nero, lucido, e non aveva l'aria di una persona in salute, visto il viso pallido e le occhiaie piuttosto evidenti.

Accennai un sorriso, e provai da subito tenerezza per l'uomo. «Piacere, mi chiamo Florencia Crownover. Sto cercando Erik...o qualcuno che possa dargli questa per conto mio.» mostrai la busta all'uomo davanti a me, sperando che mi desse la via di fuga che tanto stavo aspettando.

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