Capitolo 26.

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L'amore è non pensare a niente, ma giocarsi tutto, lasciare da parte la testa e buttarci dentro ogni pezzo di cuore. (Nicolas Paolizzi)


«Ecco, dai! È tua, prendila!»

«Siete due schiappe.»

«Lo dici solo perché hai due anni in più di noi.»

«Rimanete due schiappe lo stesso. Lexi, lanciala!»

«Credi che si stiano divertendo?» domandai con aria perplessa ad Allison, mentre suo cugino, Kevin, lanciava la palla in direzione di Lexi, Noely e Tyler.

«Assolutamente.» mi liquidò con un cenno della mano. «E poi, sono bambini. Un po' di sana competizione non può che fargli bene.»

Erik, di lato a me, mugugnò qualcosa, continuando a non togliere gli occhi di dosso dai bambini che giocavano a pochi metri da noi.

«Mio Dio, Erik! Va tutto bene. Piantala di fissarli come se da un momento all'altro possano uccidersi a vicenda. Sono bambini.» ripeté la mia amica per l'ennesima volta.

Era un venerdì sera degli inizi di giugno, ed eravamo arrivati da poco meno di un'ora a Waterbury Center, a circa quattro ore di distanza da Stowe.

Prima che tutti partissero per le vacanze estive, avevamo deciso di trascorrere un weekend tutti insieme nella casa sul lago della famiglia di Al. Mancava sempre di meno al grande giorno, e gli ultimi dettagli richiedevano uno sforzo enorme, che l'avrebbero poi tenuta occupata tutta l'estate.

«Okay, fratello. Alza le chiappe e va' con gli uomini. Lo teniamo d'occhio noi, Tyler.» disse la voce di Janel, mentre la vedemmo dirigersi verso di noi con un enorme pacco di popcorn tra le mani.

«Che c'è?» sbuffò, afferrando il fratello per la maglia, facendolo alzare. «Sono in fase pre-ciclo e sono affamata. Avete qualche problema?»

Mi scappò una risatina, mentre Erik iniziò a farfugliare qualcosa contro la sorella, allontanandosi.

«Bene.» sospirò, sedendosi di lato a me. «Mi sento esausta dopo questo stra maledetto viaggio. E nemmeno la vista di questo splendido lago riesce a farmi passare la nausea.»

Io e Allison ci guardammo perplesse.

«Ma se ti stai ingozzando di patatine come se fossi una morta di fame!» la ripresi, ridendo.

«Infatti sto mangiando per non pensarci!» rispose stizzita, come se fosse una cosa ovvia.

Per un po' nessuna delle tre parlò. L'aria del tardo pomeriggio era fresca, rilassante. L'unica cosa che si poteva sentire erano le grida dei bambini che giocavano a palla, e quello dell'acqua, che scorreva in modo lento e rilassante davanti a noi.

La casa della famiglia di Allison affacciava proprio sul lago, vicino ad una rimessa di vecchie barche. Si poteva sentire l'odore del legno anche in lontananza. Ma era tutto perfetto. Stranamente perfetto.

I bambini giocavano. I ragazzi se ne stavano per affari loro a fare solo Dio sapeva cosa, e noi eravamo lì, a goderci un po' di meritata pace.

Erano state settimane frenetiche, quelle.

Noely assorbiva ogni secondo libero delle mie giornate, quando non ero a lavoro. Era diventata stranamente più capricciosa del solito. Faceva faticare a dormire di notte, ed era spesso di cattivo umore e scontrosa. Non sapevo a che cosa potesse essere dovuto quel cambiamento repentino in mia figlia.

Ma col senno di poi, avevo capito che quella, di sicuro, era una conseguenza dell'abbandono di Roy.

Roy. Il bastardo Roy, che in tutti quei mesi, non si era degnato neppure di inviare un messaggio per sapere se sua figlia fosse viva o meno. Per sapere almeno se avessimo bisogno di una mano.

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