Capitolo 5.

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"Tutto quello che stai attraversando, ti sta preparando a ciò che hai chiesto." 

(Eckhart Tolle)


La sofferenza cambia le persone in maniera inevitabile, e spesso definitiva. Non lascia scampo a vie di mezzo o a convenevoli. Quando ti travolge, non puoi far altro, se non vivere il dolore, e inevitabilmente, quello diventerà per sempre una parte di te, che tu lo voglia o meno.
Volevo e speravo con tutta me stessa che io potessi essere l'eccezione alla regola, perché in fondo, chi non lo spera? Chi non spera che il dolore non lasci quei segni dolorosi, come una ferita aperta, nell'anima?

Ma la felicità non arriva quando la si cerca. Tantomeno in maniera facile o definitiva.

E in quel momento, ferma davanti alla libreria a cui avevo lasciato il curriculum, capii che scordarmi del dolore, sarebbe stata un'impresa difficile. Soprattutto in un posto dove nessuno voleva credere in me, e dove tutto mi ricordava le scelte sbagliate che avevo preso nella mia vita.

E sapevo che nessuno avrebbe potuto farlo, credere in me, se non lo avessi fatto io per prima.

Il cartello per la ricerca di personale era sparito. Dietro al bancone c'era una ragazza che la volta precedente non c'era.

Ma insomma, a chi dovevo prendere in giro. Chi mai avrebbe voluto con sé una ragazza così problematica? Lo zimbello di Stowe che aveva avuto una figlia a diciotto anni, e che a ventitré si trovava a doverla crescere da sola, con i propri genitori, perché non era riuscita a tenersi stretta il padre di sua figlia?

Una lacrima scese involontariamente, e la cacciai di fretta con il dito, mentre mi allontanavo da quel posto.

Non potevo e non volevo permettermi di cedere. Anche se mi sentivo inadatta, dovevo ripartire in un modo o nell'altro.

Avrei trovato un lavoro. Sarei riuscita a mantenere me e mia figlia, e una volta avuto abbastanza risparmi, avrei cercato una casa per noi due.

«Ragazza, fuori dai piedi. Non vedi che stiamo chiudendo?» una donna robusta e con la pelle scura mi spintonò, facendomi perdere l'equilibrio. Indossava dei vestiti larghi, aveva una sigaretta a metà bocca e mi guardava con aria annoiata.

Mi spostai, e la vidi abbassare la serranda del suo negozio. Era un negozio di tessuti, a giudicare dalla vetrina.

«Mi scusi, per caso state cercando qualcuno che possa darvi una mano?»

La donna si voltò verso di me, mi guardò dall'alto verso il basso, per poi rigirarsi per chiudere il lucchetto.

«No, ragazza. Gli affari vanno e vengono, e due mani in più potrebbero togliermi il cibo da sotto i denti. So cavarmela da sola.»

Sospirai. «D'accordo, la ringrazio lo stesso, e mi scusi per il disturbo.» mi voltai, incamminandomi verso l'auto di mia madre.

«Ragazza.» mi chiamò la donna.

Mi voltai verso di lei, e si mise le mani sui fianchi, osservandomi per qualche secondo di troppo. «Sei rimasta senza lavoro?»

In realtà la storia era più complicata. Ero rimasta senza il padre di mia figlia. Senza il mio fidanzato. Senza lavoro. Senza macchina. Senza la mia indipendenza. Insomma, non potevo di certo spiegarlo ad una sconosciuta, quanto la mia vita stesse andando a rotoli. Mi avrebbe presa per pazza.

Annuii.

«Tu sei la figlia dei Crownover, non è vero?»

Alzai gli occhi al cielo. «La mia reputazione mi precede, vedo. Fantastico!» dissi ironicamente. «Allora arrivederci.» le feci un cenno con la testa. Figurarsi se avevo voglia di sentirmi prendere in giro.

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