E ci vuole coraggio a guardare le stelle senza poterle toccare.
A credere alle favole, sapendo che non esistono.
(Susanna Casciani)«Davvero, devo andare...» ridacchiai, mentre la bocca di Erik esplorava il mio collo, e una scia di brividi mi fecero tremare ogni terminazione nervosa.
«Ma si sta così bene qui...» mugugnò lui. «Non mi sentivo così su di giri da quando Lebron James ha fatto quella schiacciata favolosa lo scorso anno, a Toronto, paralizzando ogni singolo essere vivente che era lì presente. Compreso il sottoscritto.»
Risi. «Davvero interessante, Erik. Davvero.»
Chiusi gli occhi per un momento, beandomi della sua vicinanza. Il suo profumo invadeva ogni parte di me. Le sue mani, calde, bollenti, percorrevano lentamente il mio braccio, risalendo sulla spalla, per poi arrivare al collo in un'intima carezza.
Tutto, in quell'abitacolo, era intimo.
Era come se fossimo fuori dal mondo: solo io, Erik, e tutto ciò a cui avevamo rinunciato per tutta la vita.
Era strano, ma allo stesso tempo così naturale, che sentire le sue mani calde su di me, e la sua bocca sulla mia, non mi appariva una novità.
Era Erik Maxwell, quello che mi stava facendo impazzire d'amore. Era Erik Maxwell che si stava prendendo qualcosa che era sempre stato suo. Ed era Erik Maxwell che mi stava di nuovo facendo cadere ai suoi piedi, senza rendersene conto.
Il silenzio che c'era non era imbarazzante. Era lì, naturale, proprio come noi.
Bastava solo la nostra presenza, e quel silenzio era il più bel contorno che potessimo desiderare.
Quando aprii di scatto gli occhi, mentre le dita di Erik disegnavano dei cerchi sui miei polpastrelli, puntai dritto il cruscotto della sua macchina.
«Oddio! È tardi! È tardissimo, Erik! Ma da quanto tempo è che siamo fermi qui?» guardai fuori dal finestrino, notando la strada deserta della via di casa mia. Avevamo parcheggiato qualche casa più avanti, in modo che nessuno ci vedesse.
Io ero tornata con la mia macchina, che poi Erik mi aveva costretto a parcheggiare in garage, per salire sulla sua.
«Lavone mi ammazzerà se tarderò al lavoro. E devo accompagnare Noely all'asilo tra... diamine, quattro ore. Quattro ore, Erik!»
Si staccò da me di malavoglia, e sospirò. «Ti permetto di scendere da questa macchina solo perché Noely ha bisogno della sua meravigliosa mamma, e perché sei troppo divertente quando hai una crisi di nervi. E ho come l'impressione che se adesso ti scoppiassi a ridere in faccia, tu non saresti molto contenta.» sollevò le sopracciglia in alto, per fare il buffone, facendomi scappare un sorriso.
«Altrimenti puoi stare certa che ti impedirei di scendere da questa macchina, e saprei anche convincerti in modo piuttosto... convincente?»
«Sei pessimo.» risi, facendo per aprire la portiera, quando la sua mano me lo impedì.
«Giurami che non tornerai indietro, Flor.» i suoi occhi divennero improvvisamente seri, facendomi bloccare. «Che non torneremo indietro.» si corresse.
«Io...non so se potrebbe funzionare davvero.»
«Non lo so nemmeno io, questo.» disse, mettendo la mano sul volante. «Io sono una testa di cazzo, e tu un cerbiatto in fuga. Ma...»
«Descrizione esauriente.»
«Davvero, Flor.»
Sospirai. «Erik...tu fino a meno di cinque ore fa eri a braccetto con una specie di barbie, e proprio davanti ai miei occhi. E io non sono abituata a queste cose.»
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Dalla tua parte
ChickLitQuando hai diciotto anni, sai poco della vita. Il mondo ancora non ha una forma distinta, e tutto sembra non avere un senso, ancora. E quando il mondo di una diciottenne viene invaso da pannolini, tutine, sonagli e ninna nanne, quel mondo assume una...