Capitolo 9

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Una ragazza mi accompagna al tavolo. Non tento nemmeno di aspettarlo. Sono incazzata nera. Ci riparliamo per 10 minuti dopo 10 anni e lui crede di poter disporre di me e del mio tempo a suo piacimento. Non ha capito un emerito cazzo. Quella ragazzina che acconsentiva ad ogni sua volontà è morta e stramorta. Carissimo Tim non hai capito che di fronte ora hai una tigre indomabile. Sono sicurissima che appena fiuterà il pericolo scapperà a gambe levate. Infondo Tim è lo stesso che anni addietro al culmine del peggio di noi, quando io iniziavo ad alzare la testa, lui non si sforzava neanche a farmela abbassare. Più io alzavo il capo più lui faceva un passo indietro. Non osava frenarmi, ma non restava a guardare. È come se avesse paura di quello che stavo diventando, della donna che sarei potuta essere. Capii che lo avevo perso, che avevo perso tutto, quando in una lite furibonda esclamò: "se tu pensi di farmi fare la fine di mio padre, non hai capito un cazzo!" tra le righe mi disse che avere una donna forte affianco era la sua paura più grande. E io cazzo ero già una donna forte, avevo tutto imploso dentro e stava per uscire tutto. Ero pronta all'esplosione. Ma volevo essere forte, determinata, sicura. Volevo essere intraprendente e raggiungere ogni obbiettivo, abbatterlo e raggiungerne un altro. Volevo tutto ma lo volevo con lui affianco. Ma di sicuro non volevo essere una stronza fredda e senza cuore come sua madre che trattava il padre da cagnolino obbediente e i suoi figli come soldatini.

Mi fermo al tavolo, mi sfilo il soprabito e resto in short neri corti ad alta vita camicia bianca trasparente da cui si intravede il reggiseno di pizzo bianco e un gilet lungo fino al ginocchio che porto sbottonato. Lui si affianca al tavolo e si siede. Mi siedo anche io, la ragazza ci porta i menù. "Ci da cinque minuti appena decidiamo la chiamiamo. Grazie" "Grazie a lei signora" lui inizia guardare il menù io invece prendo la mia valigetta. Tiro fuori il mio blocco, la penna. Appoggio tutto sul tavolo. Poi sempre senza degnarlo di uno sguardo, facendo quasi finta che lui non ci sia, prendo il menù, mi nascondo dietro e vedo cosa prendere. Di sicuro un litro di caffè. Dall'altro lato lo sento tossire, abbasso il menù e lo guardo. "Vai sempre così in tribunale?" "A piedi? Si ma settimana prossima arriva l'auto" lui nega con la testa "no dico, vai sempre vestita così in tribunale?" "Così come?" E sento la rabbia salire dai piedi. "Così..." lo sento in difficoltà. So bene cosa vuole dire ma non sa come dirlo, per non sbagliare. "Così elegante? ben vestita?" lo vedo che vorrebbe continuare. E allora lo precedo "Sexy?" si passa la mano sulla barba "sexy, si. Anche se mi rendo conto che bella quanto sei, anche con un sacco nero saresti sexy" e mi guarda intensamente. Vedo una scintilla nei suoi occhi. "Comunque vado dove vado, vestita come mi pare. Ho 31 anni. Sono una donna e mi piace vestirmi come meglio credo. Sono single, non devo dar conto a nessuno. Ma ciò non toglie che qualora avessi un uomo, mi vestirei allo stesso identico modo" mi passo una mano nei capelli buttandoli sul lato "perché nessuno e sottolineo nessuno può più dirmi cosa posso o non posso fare. Nessuno mi da o mi darà più ordini. Nessuno potrà più vantare ed avanzare pretese su di me e su quello che amo fare o dire o vestire. Intesi? Ed ora ordiniamo" lui sorride e scuote il capo. O carissimo inizia a preparare il fiato per battere la ritirata. Perché questa volta a scappare sarai tu.

Arriva la ragazza, lui ordina un maxi cheeseburger io un insalata con petto di pollo grigliato. E una caraffa enorme di caffè. Lui inizia a mangiare, io avvicino al piatto il blocco. E spilucco la mia insalata. "Allora non ho tutto il giorno? Hai voluto incontrarmi hai detto che hai bisogno di un legale, che vuoi divorziare e che dal divorzio dipende il tuo lavoro e quello di tuo fratello. Spiegami il perché" lui posa il panino. Si pulisce la bocca e cazzo io lo guardo come se stesse facendo una piroetta in un bistrot. Incantata da ogni suo movimento, gli seguo le mani, le espressioni della bocca, che si increspa e diventa tirata, come tutto il suo viso. Inchina il capo "con mia moglie sono anni che le cose non vanno, forse non è mai andata" poi lo rialza e fissa il suo sguardo nel mio "le tempistiche sentimentali del vostro rapporto non mi interessano e non sono importanti al fine della conversazione. Che ti ripeto è di lavoro. Non sono la tua confidente quindi relega il tuo discorso ai fatti obbiettivi e basta" Io riporto lo sguardo sul blocco e tiro un sospiro. Forte. Così lui continua. "Tre anni fa il nostro rapporto andava male eravamo distanti e io avevo già pensato di farla finita. Poi però la mia azienda ha subito un collasso economico. Un cliente, mi diede incarico di fare un grosso impianto fotovoltaico per la sua palestra. Un grosso affare e si prospettava un grosso guadagno. Io e mio fratello accettammo. Lui ci diede una prima caparra ed iniziammo i lavori. A metà opera però, noi iniziavamo a chiedere soldi per finire il lavoro, ma lui ci chiedeva sempre più tempo. Così per non accalcarci con altri lavori che lì a breve avremmo dovuto iniziare, chiedemmo a nostra volta crediti ai fornitori per finire l'opera." Sospira esausto. "L'impianto era quasi finita. Quando ci dissero che il nostro cliente era stato arrestato per corruzione. E noi restammo indebitati fino al collo." Si passa le mani sul viso, sposta il piatto e appoggia il gomiti sul tavolo. Ci guardiamo e vedo in lui una tristezza senza fine. "Non sapevamo dove sbattere la testa. Avevamo degli investimenti, ma erano bloccati per altri anni ancora. Avremmo dovuto vendere le nostre case, le nostre auto, i nostri mezzi per lavorare ma così avremmo perso tutto e avremmo lasciato i nostri operai senza lavoro e senza soldi. Così ci vedemmo con un legale e insieme trovammo una soluzione." "E qual è stata questa soluzione?" "I debiti erano a nostro nome, all'epoca la nostra ditta era individuale, così per evitare di portare l'azienda a picco con noi, avremmo dovuto vendere l'azienda a qualcuno di cui ci fidavamo e che nonostante sui documenti ci stava il suo nome avremmo continuato comunque noi a gestirla." E io ho già capito dove sta parando il discorso. "Mio fratello era single, mio padre e mia madre morti. Non avevo altri parenti a cui affidare la mia azienda. Tranne lei. Io ero sposato in regime di separazione. E così fingemmo che Evelyn, l'avesse comprata. Nel frattempo i debiti a nostro nome li avremmo pian piano pagati, lavorando anche se l'azienda era di sua proprietà. Ma quella che sembrò una soluzione a quel tempo oggi è la mia condanna. Per i primi tempi preso dal lavoro, non pensavo più al fatto che la mia relazione era un disastro. Nel frattempo lei era di nuova in attesa e nacque Olly." Sospira e sospiro anch'io. "Amo le mie figlie, sono la cosa più bella che ho. Ma chi dice che i figli uniscono non ha capito un cazzo delle relazioni. Se stai in crisi e fai un figlio, il figlio aumenta ancora di più la distanza. E noi ci siamo allontanati. Io di più l'ammetto, ma era una relazione fallita che avevamo trascinato troppo a lungo. Così quando ho iniziato a parlare di nuovo di divorziare, Evelyn ha iniziato a minacciarmi, che mi avrebbe tolto tutto. E io non potevo fare niente e non ero solo. Mio fratello contava su di me. Si fidava. Così ho continuato a stare là, ma poi sono esploso. Non ne potevo più mi sentivo in gabbia. Mi mancava l'aria. Svegliarmi ogni giorno insieme a lei, che pur di avermi affianco mi costringeva con la forza non pensando alla mia felicità, mi ha portata ad odiarla. E sono sei mesi che sono andato via di casa. Stiamo ancora lavorando perché anche il suo legale ha stabilito che per il bene economico nostro e dei nostri figli, non può mandare tutto all'aria soprattutto ora che abbiamo vinto la gara d'appalto per gli impianti al comune Roseburg. Ma l'azienda è ancora sua e noi semplici stipendiati. E lei usa l'azienda per non darmi il divorzio. Insiste che devo tornare a casa, che tutto si può risolvere." "I fornitori a cui dovevi soldi, sono stati ripagati?" "Si, ho finito l'anno scorso. Io e mio fratello non abbiamo più debiti. L'azienda è di nuovo in attivo. Ma non è più nostra. E io sto impazzendo. Mio fratello sta impazzendo." Io prendo il blocco e scrivo tutto. "Come ha pagato l'azienda tua moglie al momento dell'atto?" "con assegni. Fittizi. Non sono mai stati incassati. In effetti non aveva quei soldi. Era tutta una simulazione." Io scrivo tutte le informative. "Se non ti dispiace mi servono questa lista di documenti al più breve possibile. Nel frattempo io studierò una strategia. Comunque non sembra così nera, vedrò cosa posso fare." Strappo il foglio e gli do la lista. Lui sorride, mi guarda "grazie Jenny. So che non eri tenuta ad ascoltarmi, ancora di più a darmi una mano. Grazie davvero." "non è niente, è il mio lavoro." "appunto, ti serve un anticipo?" metto tutto nella valigetta. Sorseggio il mio caffè "non preoccuparti mi pagherai quando otterrai il divorzio. Se è quello che vuoi." "Certo che è quello che voglio. Lo voglio davvero. Ma allo stesso tempo voglio il bene delle mie figlie. Per me contano solo loro." Una fitta mi colpisce il ventre e il cuore. Ma lui non lo sa e continua. "Sono tutta la mia vita. Ho resistito dieci anni solo per loro. Avere un figlio è una cosa così naturale eppure così forte che parte dalla pancia e invade ogni cellula del tuo corpo. È una sensazione che nessuno può capire se non lo provi sulla tua pelle" E così se da un lato m'infila una lama nel mio cuore che pur battendo ancora, sanguina ed affoga nel suo stesso sangue. Dall'altro penso, sarò pur scappata ma non ti ho privato di niente. In cuor mio so di averti dato tanto.

Fiori D'arancio. Ancora noi.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora