Capitolo 10

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Usciamo dal locale e ha ricominciato a piovere. In verità proprio in questo momento sta diluviando. Restiamo in silenzio sotto al portico, perché ora come ora è impossibile raggiungere l'auto. Sorseggio il mio caffè ormai freddo. Prendo la borsa e tiro fuori una sigaretta. L'accendo faccio un tiro, inspiro forte. E sembra che solo ora mi accorgo di quanto avevo bisogno di nicotina. Il suo racconto, la sua storia, detta così a bassa voce, con gli occhi velati dalla tristezza, mi hanno lasciato l'amaro in bocca. Per 10 anni ho osservato la sua vita, dalle parole altrui, dai social. E quando guardavo quelle foto sembravano una famiglia felice. Lo ho odiato perché lui aveva quello che io non ho avuto. Ma allo stesso tempo ero felice per lui. Almeno uno dei due aveva raggiunto la serenità, la pace. E ho vissuto gli ultimi anni con la consapevolezza che il mio silenzio, mentre aveva devastato me aveva dato una chance a lui. E in cuor mio ero quasi sollevata. Ma oggi mi sono accorta che è stato tutto vano, il mio silenzio, la mia sofferenza, il mio segreto. Perché alla fine neanche lui era felice. Dieci anni di false aspettative. Frasi non dette. Sentimenti taciuti. Dieci anni di bugie, di una vita di facciata.

Ho finito la sigaretta in meno di due minuti. Risucchiata proprio. Mi accingo a spegnerla e trovo lui a fissarmi "da quanto?" e indica la sigaretta. "Da dieci anni." E lui alza il viso e guarda il cielo. "Fa male. Ma non credo di dovertelo dire io. Lo saprai" aspetto che riporti lo sguardo di me. "Certo che lo so. Tante cose nella vita fanno male. Ma non sempre si riesce a farne a meno. E tra tutte le cose che mi hanno fatto male questa è la più innocua." Fingo che non sia stata una frecciatina. Ma dal suo viso tirato capisco che l'ho colpito. "Comunque fumo poco, massimo 4/5 al giorno e faccio controlli regolarmente." Guardo anch'io il cielo. "Ha spiovuto un po', andiamo?" corriamo verso l'auto. Saliamo in auto, lui accende l'auto e l'aria calda al massimo perché siamo bagnati ed infreddoliti. Esce dal parcheggio e mentre stiamo per strada, guardo la sua posa. Porta l'auto nello stesso identico modo che aveva da ragazzo. Appoggia ancora il gomito sinistro sulla portiera, mentre con la destra tiene forte il volante. Solo che adesso è più virile, più uomo. Seguo il suo profilo con gli occhi, è bello come allora, forse un po' di più. Con quella barba incolta che gli copre il viso. Lui mi lancia uno sguardo. E mi sorprende a guardarlo, io sposto subito lo sguardo sulla strada ed inizio a toccarmi una ciocca di capelli. Mi giro e rigiro un ricciolo tra le dita, è un abitudine che ho fin da bambina e lui più volte mi prendeva in giro quando lo facevo. La pioggia ha ricominciato a scendere forte. All'improvviso vedo la macchina arrestarsi e spostarsi verso la corsia di sosta. Vedo lui che tiene il freno a mano. L'auto slitta sull'asfalto, il rumore dei pneumatici mi fa urlare "Tim ma che cazzo..." non riesco a finire la frase, e vedo lui che si getta letteralmente su di me "quanto cazzo mi sei mancata!" mi afferra il viso forte, deciso e mi bacia. Appoggia le sue labbra sulle mie, io cerco di spostarmi ma lui non arretra, continua a sfiorarmi le labbra. Mi mordicchia un labbro. Continuo a fare resistenza. Appoggio le mani sul suo petto per spostarlo. Ma lui non cede, mantiene il possesso. Non arretra, avanza. Continua a baciarmi le labbra. Mi accarezza il viso, i capelli. E io man mano perdo forza. Perdo posizioni. E mi arrendo. Forza le mie labbra con la lingua. E appena entra è una guerra. Di lingue, di labbra, di denti. Di anime. Ci stiamo baciando, forte. Ci stiamo baciando, ma sembra che stiamo ricominciando a lottare. Gli metto le mani sul collo, salgo sui suoi capelli, gli tolgo il cappello. Le mie mani nei suoi capelli, seta sulla mia pelle. Le sue mani scendono sulla mia schiena, brividi mi inondano. Ci baciamo per un tempo che sembra immenso, ma con una fame che fa capire che tempo non ce né più. Il tempo sembra fermarsi. Il silenzio tutto intorno rotto solo dai nostri sospiri e dalla pioggia che scende impetuosa sull'auto. Mi morde ancora il labbro inferiore. E io apro gli occhi e trovo i suoi a fissarmi. Appoggia la fronte sulla mia e restiamo a guardarci. Io inizio a mettere distanza. Lui torna al suo posto. Siamo senza parole, senza fiato. Non abbiamo il coraggio di dirci nulla. Restiamo così, entrambi a guardare davanti a noi. "Tim quello che è appena accaduto non deve succedere più. Hai capito?" lui prende il cappello se lo rimette. "Certo come no" dice sorridendo. "Non sorridere. È sbagliato. La verità è che tutto è sbagliato. È sbagliato che mi mandi fiori. È sbagliato che sei venuto a prendermi e mi hai portato a pranzo. È visto quello che è appena successo è sbagliato che io sia il tuo avvocato. È tutto sbagliato. Ma se continui in questo modo, non ti aiuterò più. Capito?" "Sbagliato? Io e te non siamo sbagliati. Non lo siamo mai stati. Ne dieci anni fa e ora più che mai. Chi deve capire sei tu, no io." "Forse non ci siamo intesi. Ti voglio aiutare davvero. Ma il nostro deve rimanere strettamente professionale. Da oggi in po' ci vedremo solo nello studio. Ok? A distanza di sicurezza. Ok? E basta baci! E basta domande che non inerenti al nostro rapporto professionale." Lui si avvicina al mio viso, quasi lo sfiora. Sorride e quelle maledette fossette mi incantano "Se ti fa bene crederci. Credici pure."

Appena ripartiti accende lo stereo, lo vedo cercare tra la lista di canzoni, si ferma alza un po' il volume e "Love of my" life parte dolce dagli altoparlanti ma esplode in me. Non stiamo parlando ma cazzo lui ha detto più di quanto avrebbe mai potuto dire. Ogni parola, ogni singola parola di quella canzone, mi entra dentro come una lama. E mi graffia la pelle, le ossa, il cuore.

"Love of my life, you've hurt me. You've broken my heart and now you leave me. Love of my life, can't you see? Bring it back, bring it back. Don't take it away from me, because you don't know. What it means to me"

Una lacrima mi scende. La tolgo con la mano prima che lui possa vederla. Ma un singhiozzo mi tradisce. Lui mi guarda e capisce che il colpo sferrato con forza mi ha colpito. Alza ancora di più il volume e altre parole, bruciano l'anima.

"When I grow older, I will be there at your side. To remind you how I still love you. I still love you. Back, hurry back. Please, bring it back home to me. Because you don't know what it means to me. Love of my life. Love of my life"

Ormai piango a dirotto. E ogni volta che cerco di fermarmi, un altro singhiozzo mi scuote. Maledetto. Riesco solo a dire "perché mi fai questo? Perché" lui non mi guarda, non parla, continua a guardare davanti. E come se provasse quasi piacere a colpirmi. Appena arriviamo allo studio, io ormai mi sono ricomposta, Tim mi guarda "non è per farti del male e solo per farti capire." Prendo le mie cose. Non gli rispondo neanche. Scendo dall'auto. E mentre sto per chiudere la portiera "fammi avere quei documenti al più presto." Non aspetto la sua risposta. Cammino sul vialetto, alzo il viso e trovo i miei genitori all'entrata dello studio. Mio padre incazzato nero, anche perché il bastardo dietro di me, suona il clacson e dal finestrino "signori Dorey buona sera, è un piacere rivedervi! A presto" nessuno gli risponde. Mette la prima e parte. Bastardo, infame. Maledetto cretino. Arrogante e presuntuoso. Mia madre ha la bocca aperta e gli occhi sgranati. Mio padre mi guarda in viso. Vede i miei occhi arrossati, di sicuro ho il trucco tutto sbavato. Abbasso la testa ed entro un ufficio. E già so, che l'uragano Dominick Dorey è carico per colpire. E il suo obbiettivo sono io. E tutto volevo dopo questa giornata di merda tranne che tener testa all'uragano, dopo aver già affrontato una tempesta enorme.

Fiori D'arancio. Ancora noi.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora