Capitolo 13

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Stiamo camminando da circa mezz'ora. Sono incazzata nera. Tengo la testa completamente girata verso il finestrino. E lo ignoro del tutto. Ha provato più volte a parlarmi, ma io fingo che non esiste. E tutto ciò un po' mi fa sorridere. Perché ricordo quando da ragazzi litigavamo. Io ero capace di stare anche più di un'ora in questa posa plastica, lui prima mi faceva fare poi quando decideva che era ora di finirla, mi si avvicinava, mi sorrideva, mi accarezzava e io? Non mi ricordavo neanche come mi chiamavo, figuriamoci perché ero stata un'ora incazzata! E come lo ricordo io, credo lo ricordi anche lui. Visto che ha cercato di circuirmi prima con un sorriso, poi con una mano sulla coscia che ho spostato. Insomma lui ci ha provato, ma io non sono più una ragazzina. E poi questa volta sono davvero imbestialita. Chi è lui, che viene dopo dieci anni e manda a monte un appuntamento che magari poteva essere l'amore della mia vita o forse la scopata della mia vita. A questa cosa non ci credo neanche io, in effetti. Dio ho i nervi a fior di pelle.

"Senti Tim, stiamo camminando da mezz'ora, ma dove cavolo li tieni questi assegni? Alla banca nazionale dell'Oregon?" lui si gira, mi guarda e dice un semplice "No" e ritorna a guardare la strada. E io esplodo. "ooooo sentimi bene brutto stronzo!" E lui scoppia ridere "vieni, mi sequestri, mi fai perdere un appuntamento che aveva tutti i requisiti per esser un buon appuntamento, mi trascini non so dove" lui ride ancora e io gli do un altro schiaffo sulla spalla, sono al limite "e poi ho fame, voglio due litri di caffè, una ciambella al cioccolato, una sigaretta. Come carceriere fai schifo! Neanche i generi di prima necessità!" e lui continua a ridere e ride cosi forte, stringendo gli occhi e buttando la testa indietro. Ride così di cuore che inizio a ridere anch'io. Ci guardiamo e continuiamo a ridere. E io mi sciolgo, completamente. Mi avvolge un braccio sulle spalle, mi attira a lui. Appoggio la testa sul suo petto. Inalo il suo profumo che dopo dieci anni non ha cambiato. Profumo che riconoscerei tra cento. Mi bacia sulla fronte "Principessa ogni suo desiderio è un ordine" alzo lo sguardo e vedo il suo viso e barba a parte è quello di sempre. Il viso che ho toccato per anni. Lo stesso viso che ho poi sognato per anni. Ho dato a questo viso, attenzioni per metà della mia vita. Avevo 14 anni, quando l'ho accarezzato la prima volta e dopo 17 anni, sono ancora qua a perdermi in questi lineamenti, in queste labbra, in questi occhi, in queste maledette fossette. Come invasa da vita propria, la mia mano si posa sul quel viso. Tim si irrigidisce. Chiude gli occhi per un attimo e sospira. Come se aspettava quel tocco da tutta la vita. Cose se aspettava me, da tutta la vita. Abbassa gli occhi li punta nei miei, mi bacia la punta del naso. Io mi accoccolo ancora a lui. Gli stringo il braccio intorno alla vita. Mi tolgo le scarpe, e porto le gambe sul sediolino. E come in un vecchio ricordo, mi addormento, stretta a lui, stringendolo forte e sogno che un attimo così non finisca mai.

"Piccola, sveglia!" sento un sussurro. Apro gli occhi e mi ritrovo con la testa appoggiata sulle gambe di Tim. Lui mi accarezza una guancia. E mi sorride. "Stai dormendo da mezz'ora" arrossisco. Mi alzo e mi rimetto a sedere e vedo che stiamo su un area di servizio. Vorrei strofinarmi gli occhi e darmi una svegliata, ma sono truccata. Faccio un lungo sbadiglio. "Scendo a prendere qualcosa! Ok?" mi volto verso di lui ed annuisco. Non riesco a parlare. Lui scende dall'auto. Lo guardo entrare nel locale. E sento che dentro di me qualcosa si è rotto. Cosa diavolo sto combinando. Mi massaggio le tempie. Dio che casino. Sembra che il mio corpo si muova da solo. Come se il mio cervello, non riuscisse a controllarlo. Il mio cuore, poi. Questo stupido non riesco neanche a capire se serve a respirare o solo per amarlo. Ancora una volta. Ancora come allora. Ancora come sempre.

Mentre sono assorta nel mio viaggio mentale ad occhi chiusi, massaggiandomi le tempie, sento la porta aprirsi. Tim entra in macchina mi guarda "tutto bene?" gracchio un "si, certo!" gli guardo le mani piene di sacchetti e dall'odore capisco che è ora di mangiare. "Che buon odore!" "Ti ho preso un cheeseburger con doppia maionese, insalata e pomodori, ti piace ancora così?" lo fisso mentre mi mette in mano il panino e rimango basita del fatto che ricordi ancora il gusto del panino. "Si grazie" "poi una ciambella glassata al cioccolato e un cappuccino aromatizzato alla vaniglia con panna. Giusto??" e io prendendo in mano tutto riesco solo a dire "giusto" e in effetti sembra tutto cosi giusto eppure cosi dannatamente sbagliato. Poggia una bottiglietta d'acqua al centro e io bevo un sorso. "Ah e ti ho prese queste." Lo guardo mentre bevo. Le sigarette. "Non mi piace che fumi. Ma dicono che danno un vero momento di relax dopo il sesso!" e io sento che l'acqua mi è andata storta. Sto affogando. Tossisco convulsamente. Lui mi batte una mano dietro le spalle. Con voce rotta e ancora con fiato tirato "ma che cazzo dici? Ma quale sesso" e Tim scoppia ridere "scherzavo, scherzavo" alza le mani in segno di resa "dai mangiamo." Accende la radio. E mangiamo in silenzio.

Dopo un'ora arriviamo allo svincolo di Waldport. Apro il finestrino e una ventata di aria salmastra mi invade. Conosco la zona. Ci venivamo spesso da ragazzi. Passavano tutto il giorno su una di queste spiagge, adoravo aspettare con lui il tramonto. Stretti ed abbracciati sulla sabbia, aspettavamo che il mare bevesse l'ultima goccia di sole e poi tornavamo a casa. Sognavamo spesso di avere una casa qua. Su una di queste insenature. E lui diceva sempre che l'avrebbe costruita per me, come piaceva a me. Azzurra con le staccionate bianche. Con il portico grande che affacciava sul mare. Che avrebbe montato una grossa altalena, per ricordarci sempre come era iniziato tutto. Diceva che mi avrebbe piantato decine di alberi di arance e limoni, così in primavera o d'estate all'imbrunire, ogni sera sulla nostra altalena avvolti dal profumo dei fiori d'arancio avremmo rivissuto il nostro primo bacio. E sopra la villa avrebbe messo un grosso cartello con scritto il mio nome. Ricordo ancora quando a piedi nudi, sulla sabbia lui guardava l'interno della costa e mi descriveva la casa nei minimi particolari e concludeva sempre dicendo "e sopra il tetto ci scriverò a lettere gigantesche "Villa Jenni" perché tutto quello che sarà mio sarà tuo. Perché tu hai già tutto ciò che è mio."

Mentre viaggio con la mente, la macchina si ferma, davanti ad una villa a due piani. È azzurra. Con la staccionata bianca. Ha la porta grande bianca. Inizio a sentire il cuore aumentare i battiti. "Dove siamo?" non lo guardo continuo a guardare la casa. Dio la vedo per la prima volta e sembra già di conoscerla. Sento il suo sguardo bruciarmi la pelle. Così mi volto. Ci guardiamo. Sguardi che fanno rumore. Gridano. Riguardo la casa. "Benvenuta a Villa Jenni" e io scoppio a piangere. Lacrime dolci eppure così amare mi inondano il viso. Lui mi prende il viso tra le mani. Mi asciuga le lacrime con i pollici. "Piccola non piangere. Mi uccidi così!" ma io sono un fiume in piena. Non riesco a fermarmi. I singhiozzi mi scuotono. "Jenni ti prego non piangere" mi abbraccia, mi stringe forte. Io mi aggrappo a lui. Come se dipendesse tutto da quell'abbraccio. Piango tra le sue braccia. Piango sul suo petto, sul suo cuore. Vorrei smettere ma non ci riesco. Mi stringe di più. E io mi perdo completamente. Vorrei urlare. Sono qui tra le braccia di quest'uomo che ho amato senza limiti. Che mi ha distrutto. Ma che a quanto pare ho distrutto a mia volta. Che diciamoci la verità, non ho mai dimenticato. Un uomo che pensavo mi avesse seppellito nei cassetti remoti della sua memoria, mentre io vivevo ancora nei miei ricordi e capisco che neanche lui mi ha mai dimenticato.

Fiori D'arancio. Ancora noi.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora