Capitolo 19

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Corro in casa. Salgo le scale come una furia. Non piango, sono furiosa. Sento che lui mi segue. Mi chiama, ma io avanzo indifferente. "Jenni fermati" "No. No Tim." Non mi giro neanche e entro in camera da letto. Sbatto la porta lasciandolo fuori. "Jenni cazzo apri questa porta" e sento dei pugni. "No." Urlo come un indemoniata. Mi guardo allo specchio, guardo i miei occhi rossi e gonfi. Le guance scavate, le grosse occhiaie scure. Mi guardo e in quel disastro rivedo la piccola ed indifesa JJ e allora sono ancora più incazzata. Ancora più furiosa. Mi tolgo la tuta. Indosso il vestito, sotto sono completamente nuda. Ora come ora non me ne frega un cazzo. Voglio solo andare a casa. Lui è ancora dietro la porta, sento i suoi sospiri pesanti. La apro di colpo. "Jenni..." ma vedendomi vestita si blocca di colpo. Io continuo a camminare scendo le scale, lui mi segue "Jenni perché ti sei vestita?" continuo a non guardarlo. Mi infilo le scarpe. "Jenni cazzo parlami" lo ignoro, prendo la mia borsa. Ci metto dentro il telefono, le sigarette. Raccolgo dal divano il mio body e gli slip. Lui sempre dietro di me. "Jenni" mi prende un braccio. Mi giro, ho lo sguardo che uccide. Me ne accorgo perché lui abbassa subito la testa come se fosse terrorizzato. "Parlami" e io scoppio a ridere, mi tiro il braccio. "Non abbiamo più niente da dirci. Non dopo stamattina. Ne dopo poco fa. Niente." Scandisco quel niente. "Voglio tornare a casa. Subito. Se vuoi restare ancora, non c'è problema chiamo un taxi." Lui va verso la porta finestra, senza parlare. Con il capo chino. Chiude la vetrata. Sale sopra per circa dieci minuti. Io mi avvicino alla finestra, guardo un ultima volta l'oceano, la spiaggia. Mi volto verso l'altalena, l'accarezzo con una mano contro il vetro. Poi di getto afferro le tende e le chiudo. Si è chiuso l'ennesimo sipario sulla nostra vita. Un altro atto di una tragedia, dove i protagonisti ancora per una volta perdono. Tutto. Tim scende le scale. Infila la giacca e poi il cappotto. Va verso la porta e la apre. Prendo il cappotto lo infilo, lo supero ed esco vado verso la macchina. Vedo lui chiudere la porta. Viene verso la macchina sale e salgo anche io. Sbatto la porta. Mi giro verso il finestrino. Lui mette in moto e partiamo.

Due ore sembrano non finire mai. Passiamo tutto il viaggio di ritorno in silenzio, non accende neanche la musica. Si sentono solo i nostri respiri. Appena arriviamo allo svincolo di Roseburg una pioggia impetuosa ci accompagna. Arriviamo sotto casa mia che sono quasi le nove. Sto per scendere quando lui mi afferra un polso, io mi volto. Ha il viso tirato. Mi da la cartellina, tira fuori dalla tasta una busta. Senza che io gli chieda niente dice "gli assegni" io lo guardo attonita. Perché dopo tutto quello che abbiamo vissuto ieri, crede che io ancora voglia aiutarlo. "Tim mi dispiace veramente ma non posso. Diavolo" sospiro forte "abbiamo fatto l'amore, io non posso" "perché?" ci guardiamo ancora "Perché? Perché? Come fai a non capire il perché! Perché io non riesco più a guardarti negli occhi dopo quello che è successo e non pensare a te dentro di me! Io non funziono cosi." "E credi che per me non sia lo stesso? Credi che per me averti tra le braccia di nuovo e vederti sfuggirmi di nuovo sia facile?" allora esplodo. "Sempre la solita storia è Tim? Sempre lo stesso. Con te non cambia mai niente! Mi avevi di nuovo tra le braccia, ma con le parole non hai fatto altro che spingermi via." Impreco "diavolo Tim questo gioco a chi resta, non funziona più. Non puoi sputarmi in faccia tutta la tua rabbia e credere che io resti li ferma a farmi massacrare ancora. Cazzo Tim. No. Non funziona così!" ma lui urla ancora di più "e come funziona JJ? Come cazzo funziona! Perché ogni volta che c'è qualcosa che non và tu scappi. Scappi sempre." Batte le mani sul volante, con forza. "Sei tornata. Dici di essere tornata e allora perché non sei venuta! Perché non mi hai fermato? Perché hai lasciato che la sposassi. Perché?" e lacrime amare gli rigano il viso. "perché?? Io non l'avrei sposata. Avrei amato quella bambina. Ma non avrei sposato lei. Io avrei scelto sempre sempre te. Nonostante tutto." Batte ancora i pugni sul volante. Una, due. Tre volte. E io scoppio a piangere. "Perché lei ti stava dando quello che io non avrei mai potuto darti." Si volta. Ci guardiamo negli occhi. E lo vedo smarrito. "Sono sterile Tim. L'ho saputo dopo un mese che sono scappata. " Chiudo gli occhi. Mi metto le mani in viso. Esco di corsa dall'auto. Non mi volto indietro. La pioggia mi investe forte impetuosa, ma non lava via il mio dolore. Quello resta ancora li. Ogni volta sempre più acuto. Ogni volto che dico quella parola. Ogni volta che dico sterile, il mondo crolla intorno a me. Su di me.

10 anni prima.

È un mese che dormo su questo letto. Non mi sono ancora abituata. Forse credo che non mi abituerò mai. Los Angeles è frenetica, i ritmi alti. Lo studio, il lavoro, arrivo a casa distrutta. Eppure appena tocco questo letto non riesco a chiudere gli occhi. Stasera è peggio del solito, ho un forte mal di testa. E dei crampi all'addome spaventosi. Starà per arrivarmi il ciclo. Almeno credo. È in ritardo di mesi. Come sempre, non è mai preciso. Figurati ora che vivo in un limbo di dolore. Mi giro e rigiro nel letto, sento i crampi aumentare. Il dolore è davvero forte. Mi sforzo di alzarmi per prendere qualcosa per questo dolore. Voglio andare prima in bagno perché mi sento umida, sarà arrivato il ciclo. Ma appena mi guardo capisco che non può essere il ciclo. Ho i pantaloni inzuppati di sangue, sul lenzuolo una macchia enorme. Urlo spaventata. Chiamo la mia compagna che si affretta nella mia camera. Appena mi vede, mi corre vicino "JJ che succede" ma il dolore è fortissimo, non riesco a parlare. Mi piego su me stessa. La vedo prendere il telefono. La sento parlare. Ma inizia a girare tutto. Chiudo gli occhi e cado nel buio.

Sento qualcuno parlarmi, apro gli occhi e vedo Paula sorridermi. Mi accarezza il viso "Jenni sei sveglia! Come ti senti?" mi guardo intorno e capisco di essere in ospedale. "Che è successo?" lei mi guarda e i suoi occhi si gonfiano di lacrime. "Ora verrà il dottore. Ti spiegherà tutto" dopo circa 10 minuti. Entra il dottore. "Signorina Dorey buonasera" "buonasera. Dottore cosa è successo?" lui si siede vicino al mio letto. "Signorina lei ha avuto un aborto spontaneo." E io sussulto. "Sono incinta?" lui mi guarda e con grande dolcezza mi dice "signorina lei era incinta. Di due mesi e una settimana. Non lo Sapeva?" una prima lacrima mi sgorga dagli occhi. Nego con la testa. "Da quanto tempo il ciclo tardava?" Tiro su con il naso. "Non ricordo. Il mio ciclo non è mai preciso e non ci faccio mai caso. E poi ho sempre fatto sesso protetto. Almeno credevo." Continuo a piangere. "Ok, non pianga adesso. Capisco lo choc ma cerchi di stare calma. Purtroppo il feto era già deceduto da più giorni, ecco perché aveva quei forti dolori all'addome. Il prima possibile effettueremo un raschiamento per pulire il suo utero" io annuisco tra le lacrime. "perché, dottore perché l'ho perso?" "Per ora non posso darle una risposta, appena sarà possibile faremo un esame del feto e faremo delle analisi anche a lei per capire il perché. Ma lei ora si riposi. Domani mattina faremo l'intervento. Vuole che chiami qualcuno. Il padre?" "no, no"dico quasi urlando "i suoi genitori, un fratello, una sorella?" io nego con il capo "no dottore. Va bene così"

Il mattino seguente, vengo operata. Mi rilasciano il mattino seguente. Mi hanno dato una settimana di riposo assoluto. L'ho passata interamente a piangere. Ero sola in un altro stato ad affrontare la cosa più brutta che ci sia. Eppure non volevo nessuno vicino. Anche Paula mi offriva spesso la sua compagnia, ma mi chiudevo in camera a piangere e ancora piangere. Il mese prima ero scappata via. Credevo di non portare niente con me della mia vecchia vita ed invece il pezzo più bello di quella vita lo portavo dentro di me. Il nostro bambino. Quell'amore così folle aveva suggellato tutto in quel bambino. Non c'era lite, incomprensione, infelicità che ha potuto fermare quell'amore, che aveva creato un mondo dentro me. Ed ora, ora era davvero tutto finito. Un paio di settimane dopo, mi recai in ospedale. I risultati delle analisi erano arrivati. PCOS. Sindrome dell'ovaio policistico. Il dottore mi spiegò che per come era avanzato lo stadio della mia malattia, rimanere incinta era stato un vero miracolo. Perderlo la conseguenza della stessa. Chi è affetta da questa sindrome se e dico se rimane incinta le possibilità che la gravidanza superi il primo trimestre sono bassissime. Il 70% delle volte la gravidanza si interrompe nei primi tre mesi. Rimanere incinte era estremamente complicato, per chi come me soffriva di questa patologia. La gravidanza appena persa era un miracolo. Quel folle amore aveva ancora una volta superato i limiti. Perfino della scienza. Mi diedero una dieta per regolare il peso. Degli ormoni per mitigare gli effetti e mi dissero che quando avrei coscientemente voluto avere un bambino, avrei dovuto fare varie cure che non mi avrebbero dato sicurezze, ma almeno qualche speranze. Prima di andare via il dottore mi chiese:"vuole sapere il sesso?"intontita da tutto quello che mi era piovuta addosso non capii "scusi?" lui mi guardò con occhi dolci e comprensivi "del suo bambino, vuole sapere il sesso?" io riuscii solo ad annuire tra le lacrime. "Era un maschietto". "Track" il mio cuore fece proprio "Track". Si spezzò. In un mese avevo perso tutto, la mia vita, l'amore, il mio bambino e perfino il sentirmi donna. Che donna sarei stata ora che non avrei mai avuto un figlio mio. Che donna sarei stata se non avrei mai conosciuto le gioie della maternità. Che donna, compagna, moglie, amante sarei stata agli occhi dell'uomo che mi avrebbe scelto. Ero una donna a metà. Ero una donna che aveva poco o niente da dare.  

Fiori D'arancio. Ancora noi.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora