Dolore.
Era l'unica cosa che sentiva in quel momento.
Un dolore terribile, quasi soffocante, che partiva da dentro.
E si faceva largo nelle viscere, nello stomaco, nel petto, non lasciando spazio neanche per l'aria.
Aveva tutti i sensi annebbiati, le orecchie che risuonavano di un forte rumore sordo, il naso terribilmente tappato e gli occhi appannati di lacrime.Aveva perso del tutto la cognizione del tempo, ore, minuti, secondi, si confondevano in un agglomerato che riusciva solo a disorientarlo.
Se ne stava lì, insensibile al mondo circostante, il corpo scosso da tremiti e singhiozzi.
Se avesse avuto le forze per farlo, avrebbe urlato.
Avrebbe urlato fino allo stremo, come già aveva fatto, cercando un modo per esternare il tornado di rabbia e disperazione che si ritrovava dentro da ormai qualche giorno; l'avrebbe fatto, se solo ne avesse avuto la forza.
Si sentiva totalmente prosciugato, svuotato, da non avere neanche la forza di tirarsi su.
Semplicemente stava lì, appoggiato alla dura pietra in una posizione assolutamente scomoda.All'improvviso un tuono risuonò nella notte, preceduto da un lampo che squarciò il cielo, illuminando la lastra di pietra su cui era accasciato.
Per un momento si poterono leggere delle incisioni e una fotografia riflesse quella poca luce, prima che il tutto venisse nuovamente inghiottito nel buio.
L'incisione recitava "Giovanni Leveghi, 26/08/1993-17/02/2020".
La foto mostrava un ragazzo corvino, con una carnagione pallida e dei penetranti occhi blu scuro. Sorrideva mettendo in mostra i denti perfettamente dritti, mentre i capelli ricadevano scompigliati sulla fronte e una corta barba gli ricopriva il mento.Si strinse maggiormente contro la dura pietra, come se sperasse in qualche modo di ricevere conforto da ciò.
Ma sapeva benissimo che un dolore come quello era eterno, ineluttabile, implacabile.
Niente sarebbe bastato a confortarlo.
Non avrebbe mai più stretto tra le braccia il suo Giovanni.
Non lo avrebbe più guardato sorridere.
Non lo avrebbe più guardato dormire, con il ciuffo che gli ricadeva sulla fronte e il petto che si alzava e si abbassava regolarmente, non avrebbe più visto i suoi occhi gonfi causati dalla mancanza di sonno; non lo avrebbe guardato sclerare per dei videogiochi, non lo avrebbe visto inventare blande scuse per non lavorare; non lo avrebbe più amato di notte, di nascosto sotto le lenzuola, non avrebbe più sentito i suoi gemiti soddisfatti, non si sarebbe mai più beato di lui, della sua pelle liscia e candida, del suo profumo di gelsomino.
Era tutto finito.
Probabilmente, se qualcuno gli avesse fisicamente strappato il cuore dal petto avrebbe fatto meno male.Mentre la pioggia cominciava a cadere sempre più fitta e i tuoni aumentavano, si sentirono dei passi sulla vecchia passerella di legno che separava le tombe dal fangoso terreno del cimitero.
Poco dopo sentì qualcuno sedersi accanto a lui, e seppe chi era dal momento in cui sentì una mano poggiarsi sulla sua spalla.Nella pausa tra un tuono e un altro, il rumore della pioggia che si infrangeva sul terreno venne interrotto da un sospiro.
"Oh, Andrea..."
Il ragazzo di nome Andrea trovò finalmente la forza per muoversi.
Si gettò al collo dell'altro, aggrappandosi a lui come se ne andasse della sua vita.
E l'altro lo accarezzò, nel vano tentativo di tranquillizzarlo, continuando a mormorare la stessa cosa: "Oh, Andrea..."
Quando un altro lampo illuminò la notte, la luce rese visibile il volto del nuovo arrivato: pallido ed emaciato, con dei capelli grigio cenere e dei glaciali occhi azzurri dietro a degli occhiali neri.
"Oh, Andrea..."
A fatica, anche Andrea parlò.
"Leo... Leo"
"Sh, sono qui, sono qui"
I due ragazzi si strinsero per minuti che parvero ore.Dieci minuti dopo, Andrea si era finalmente calmato: sedeva con la schiena poggiata alla lapide, spalla contro spalla con Leo.
Tremava ancora, e ogni tanto un singhiozzo tornava a scuotere il suo corpo, ma almeno le lacrime avevano smesso di scendere.
Ora, ogni volta che un lampo illuminava la terra, c'era un nuovo riflesso che risaltava sulla notte nera: i suoi occhi, di un verde intenso, che nonostante fossero incredibilmente stanchi e arrossati non avevano smesso di brillare.
Andrea sentiva Leo tremare accanto a lui, ma sapeva che lui tremava solo per il freddo: era febbraio, loro erano nel cimitero di Trento - che per la cronaca si trovava in cima a una delle colline più alte della zona - nel bel mezzo di un acquazzone.
Grazie a Dio sopra di loro c'era una sgangherata tettoia, che sembrava restare su più per la forza di volontà di chi l'aveva costruita che per altro, ma li riparava dagli aghi di pioggia che si schiantavano sul suolo a tutta velocità.
Nonostante questo Leo era comunque bagnato fradicio, avendo camminato nella pioggia in cerca di Andrea.
Rimasero immobili e zitti per un tempo che sembrò eterno.
"Sai... Se lui fosse qui, ci darebbe degli idioti"
Disse infine Leonardo.
"Ci darebbe degli idioti perché stiamo rischiando una bronchite inutilmente, e sai, né io, né tu né lui abbiamo mai creduto a cose come l'aldilà, ma se lui riuscisse a vederci si farebbe una risata"
Andrea non rise.
Leo sospirò di nuovo.
"Lui... Lui vorrebbe vederci andare avanti.
Vorrebbe che tu stessi bene"
"Io vorrei averlo ancora qui con me"
Venne scosso da un singhiozzo.
"Perché Leo? Perché lui? Lui, che lo meritava meno di tutti noi, lui, così candido, gentile, puro, innocente..."
La voce gli si ruppe, e lui ripiombò nel silenzio.
"In un prato di fiori, quale coglieresti?"
Disse Leo.
Andrea conosceva la risposta a quella domanda, e odiò Leo per avergliela posta.
Non aveva detto un secondo prima che loro non credevano a quelle cose?
Non c'erano giustificazioni, non c'erano frasi fatte o schifezze del genere che potessero far sembrare quella situazione più sopportabile, più umana.
Il mondo si era macchiato di un orribile delitto.
Giovanni Leveghi, puro, dolce, indifeso, aveva cessato di esistere.
Il suo corpo giaceva sotto metri di terra, le palpebre irrimediabilmente chiuse, il cuore fermo.
Nessuno avrebbe più potuto ammirarlo, nessuno avrebbe più potuto riconoscere la sua autentica bellezza.
Nessuno avrebbe più rivisto i suoi occhi assumere varie sfumature, il suo sguardo corrucciarsi quando si concentrava in qualcosa, la sua bocca allargarsi in modo caricaturale e bambinesco ogni volta che qualcosa lo stupiva, nessuno avrebbe più rivisto il suo candido e sincero sorriso.
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Raccolta di oneshot Camperkiller
FanfictionIl titolo è abbastanza autoesplicativo, direi. Non so che altro dire, quindi vi lascio a questa raccolta di folli e brevi racconti che la mia mente partorisce solitamente verso le 3:00 di notte, quando faccio tutto tranne che dormire. Spero che vi p...