New York

560 30 11
                                    

Quando apro gli occhi, il sole di New York sembra farmi l'occhiolino.
Sento una fitta al petto quando, come ogni mattina, mi accorgo che non sei qui.
Guardo l'orologio: le 9:45.
Mh...vorrei dormire ancora un po'.
Dal mio letto si vede la finestra, che si affaccia su una trafficata e rumorosa strada Newyorkese.
I pochi alberi ai lati della strada stanno perdendo le foglie, che ora svolazzano in giro trascinate dal vento.
Chissà dove finiranno...magari il vento le porterà fino a te.

Guardo il comodino, e la miriade di foglietti e appunti mi ricordano tutte le cose che ho da fare oggi.
Sospiro.
Probabilmente passerò anche questa giornata sdraiato nel letto, con una bottiglia d'acqua a fianco per non dovermi alzare ogni volta.

Come ogni giorno guardo per un po' il tuo numero di telefono, scribacchiato su un foglio sul mio comodino.
Probabilmente stai parlando con lei.
Da te sono quasi le quattro del pomeriggio.

Che poi, tutto questo casino è colpa mia.
Mi odio ancora di più perché l'unica cosa che riesco a fare è stare chiuso in casa incazzato con la vita, quando la colpa è solo mia.

Sospiro passando in rassegna la camera con lo sguardo.
Una scrivania grigia parecchio disordinata nell'angolo vicino alla finestra, delle scatole di scarpe addossate alla parete vicino all'armadio, la bandiera americana di Leo accostata a quella italiana, per "non dimenticarti da dove vieni e non perdere di vista dove stai andando".
Era la prima volta che lo sentivo parlare così seriamente.
Probabilmente sapeva che non mi avrebbe rivisto mai più.
"E poi, sai, gli italiani in America rimorchiano a palate"
E gli fui grato per questa battuta, perché se non l'avesse fatta probabilmente sarei scoppiato a piangere.
Quelle bandiere sono lì da quando ho preso in affitto questo appartamento, e stranamente contare le stelle di quella americana mi rilassa quando sono particolarmente nervoso.
Ma mi rendono anche un po' triste, perché mi ricordano il giorno della mia partenza.
Il giorno in cui ho rivisto per l'ultima volta te, l'amore della mia vita.
Cavolo, è passato quasi un anno e mezzo.
Ricordo ancora la nostra ultima notte di fuoco, poco prima che io partissi.
Mi ricordavi l'alba vera, non quella da cartolina.
Quella che vedi dopo notti in bianco passate a studiare, a cazzeggiare, a tormentarsi o a fare l'amore.
Mi ricordavi l'alba, con tutte le sue sfumature.
Invece il giorno dopo eri...spento. Grigio.
E mi duole sapere che era ed è tutta colpa mia, ma io l'ho fatto per proteggerti.
Eravamo due omosessuali in Italia nel 1840, di certo non poteva finire bene.

Forse, in realtà, sono solo stato troppo codardo.
Forse avevo solo troppa paura.

In effetti, a dire la verità non stava andando troppo male.
Certo, i tuoi ti avevano buttato fuori di casa e tu stavi momentaneamente da me, ma a noi andava benissimo.
I miei l'avevano presa male, ma iniziavano a conviverci.
I nostri amici più intimi sapevano e ci avevano accettato.
Solo che io vivevo nella paura.
Avevo la continua angoscia che ci scoprissero, perché in quel caso saremmo stati seriamente nei guai.
Così un giorno, dal nulla, ho mollato tutto e sono scappato qui in America.

E fidati, sarei tornato mille volte in Italia, ora non ho più paura.
Quello che mi frena è la vergogna.
Vergogna per quello che ho fatto, per quello che ti ho fatto.

Il giorno della mia partenza eri taciturno.
Mi hai tenuto la mano tutto il tempo in aeroporto: avevi il volto scontroso e se provavo a parlarti a malapena mi rispondevi, ma non mi lasciavi la mano.
Capii subito che se avessi parlato sarebbe uscita fuori una supplica, una richiesta disperata di restare con te, e sapevi che io non avrei potuto resistere.
Sarei rimasto tra le tue braccia, abbandonando quella stupida idea.
Ma hai rispettato la mia scelta.
Mi hai lasciato andare.

È l'unico motivo per cui ce l'ho leggermente con te, me l'hai lasciato fare.
Dio Andrea, perché non mi hai fermato?
Perché sei stato così dannatamente onesto, perché non hai fatto l'egoista come al tuo solito?
E guarda a cosa mi sono ridotto, a fissare il tuo numero indeciso se chiamarti o no.

Forse un giorno troverò il coraggio, forse no.
Forse siamo destinati a rimanere separati.
Forse un giorno finalmente solleverò quella dannata cornetta e digiterò quel dannato numero, ma sarà troppo tardi.
Mi saluterai come se fossi solo un vecchio amico, e tutto contento mi racconterai di com'è andata avanti la tua vita.
Mi racconterai che ora hai una moglie, due figli, un lavoro che ti piace e una casa meravigliosa.
Mi racconterai di come Leo sia finalmente riuscito a corteggiare Anna, e ora sono una bellissima coppia.
E io non potrò fare a meno di sorridere e ributtare dentro le lacrime, perché in fondo, la tua felicità è la mia.
Poi arriverà la fatidica domanda.
"E tu? A te come va?"
E io?
Io ti amerò ancora, Andrea.
Non smetterò mai, giuro.
Ma proprio perché ti amo non romperò l'equilibrio che ti sei creato, non disturberò la tua vita perfetta, non potrei mai.
"Beh, sai, io sono sempre stato uno spirito libero"
Riderai dall'altra parte della cornetta.
"Già. Dovremmo vederci, sai, una di queste volte"
Mi dirai.
E io risponderò che si, dovremmo davvero vederci, anche se so che non lo faremo.
Perché queste cose vanno sempre così.
Ci saremo allontanati troppo a quel punto, saremo troppo distanti per riavvicinarci.
So che il momento è ora, che è la mia ultima possibilità prima che passi troppo tempo.
Prima che tu superi quello che provi per me.
E lo so, potresti anche averlo superato, ma potrebbe anche non essere così.
Potrebbe esserci ancora una possibilità, e in futuro potei pentirmene per sempre se non la colgo adesso.

Così mi faccio coraggio.
Mi alzo e vado al telefono, alzo la cornetta e digito il tuo numero.
Non ho neanche bisogno di quello stupido foglietto, a forza di guardarlo l'ho imparato a memoria.
Solo ora mi accorgo di stare tremando: faccio fatica a tenere la cornetta in mano, e il cuore sembra voler uscire dal petto attraversando la cassa toracica.
La linea è libera, aspetto impaziente che mi risponda.
Dopo interminabili secondi una voce mi giunge all'orecchio, una voce che non sento da davvero troppo tempo.
È la tua voce.
"Pronto, chi parla?"

Raccolta di oneshot CamperkillerDove le storie prendono vita. Scoprilo ora