Sassi

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Erano ore che camminava.
Aveva il cellulare spento, quindi non poteva neanche guardare l'ora.
Ma una cosa la sapeva: doveva essere molto, molto tardi.
Ormai si trascinava a fatica, gli occhi stanchi e le dita intorpidite dal freddo, ma nonostante questo non aveva ancora intrapreso la strada per il ritorno.
Non sapeva se sarebbe tornato prima dell'alba.
Perché ormai lo sapeva, tornare a chiudersi nella sua cameretta significava cedere ai pensieri, ed era decisamente l'ultima cosa che voleva fare.
Quei pensieri che lo attanagliavano, quasi soffocandolo nelle spire delle sue mille angosce e paranoie, trasformando la sua stessa mente in una macchina di tortura.

Andrea si accorse di aver avuto una meta precisa durante tutta la camminata solo quando quest'ultima gli si parò davanti agli occhi.

Un parcheggio enorme e praticamente vuoto.
Quella visione avrebbe trasmesso a chiunque la stessa cosa, poiché era uno solo l'aggettivo che gli si sarebbe potuto attribuire: desolante.
Ma non per Andrea.
E, e di certo, neanche per Giovanni.
Per loro quel posto era speciale.
O almeno, per lui lo era.

Non fece fatica a scorgere la Mercedes nera, anzi, La Mercedes Nera.
Quella non era un'auto, quella era L'Auto.
La loro auto.
Si diresse a passo sicuro verso di essa, o almeno, cercò di assumere nei movimenti una sicurezza che non aveva.
Una volta arrivato tirò la maniglia del posto del passeggero, ovviamente aperta, si sedette sul sedile e chiuse la portiera.

Non si erano dati appuntamento.
Non ne avevano bisogno.

Perché nonostante di giorno giocassero con l'orgoglio, perdendosi e riprendendosi, fingendosi disinteressati, la notte tornavano sempre lì.
Perché ne avevano bisogno.
Perché non potevano farne a meno.
Perché la loro unione era così perfetta da risultare irreale, come un miraggio.

Ovviamente, lui era lì.
Non aveva detto una parola da quando Andrea era salito in macchina, e non sembrava intenzionato a farlo.

Un angolo della sua mente registrò l'orario scritto sul display luminoso dell'auto, che in quel momento costituiva l'unica fonte di luce assieme al fioco bagliore dei lampioni al di fuori dell'abitacolo.
Erano le 2:46.

Dopo quelle che gli sembrarono ore, Andrea spostò lo sguardo sul ragazzo accanto a lui.
Scoprì con sorpresa che gli occhi glaciali del moro lo stavano già passando in rassegna, non tralasciando neanche un centimetro del suo corpo.
Il suo sguardo indagatore si posò sulle sue labbra, risalì lentamente i suoi lineamenti fino ad arrivare alle due perle verde-grigio, in quel momento illuminate dal luccichio del desiderio.

Non seppero chi fu a iniziare, non ricordarono come fossero arrivati ai sedili posteriori. Il tutto si svolse come un sogno poco nitido, con dei momenti di buio che si susseguivano a immagini meravigliosamente chiare e distinguibili.
E fu estasi, e fu energia. Elettricità.
Gemiti insoddisfatti quasi disperati, che trovarono pace solo quando l'ultimo indumento venne abbandonato bruscamente per terra dal suo proprietario.
Mani che vagavano sul corpo dell'altro, esplorandolo, quasi fosse la prima volta, come se non conoscessero a memoria ogni minimo dettaglio.
E poi ancora gemiti, grida soffocate, unghie affondate nella carne.
Sguardi carichi di dolcezza.
Labbra gonfie, lingue intrecciate.
Corpi incastrati alla perfezione.

Continuarono fino a prosciugare completamente e totalmente le energie dell'altro, poi ricaddero scompostamente l'uno sopra l'altro sui sedili neri.

E Andrea sapeva benissimo cosa avrebbe dovuto fare a quel punto.
Come da copione, avrebbe dovuto dare un'ultima carezza a Giovanni prima di rivestirsi in fretta e svanire nella notte vagamente illuminata dai lampioni mal funzionanti.
Proprio così, questo era quello che era successo tutte le notti precedenti.
E Giovanni era rimasto solo, ancora tremante per il rapporto appena avuto, nell'abitacolo che aveva assorbito il loro odore che diventava via via sempre più freddo.

Raccolta di oneshot CamperkillerDove le storie prendono vita. Scoprilo ora