Limen vuol dire soglia ed è facile confonderlo con limes, che significa confine, proprio com'è facile sovrapporre i due concetti, anche se sono diametralmente opposti.
La soglia è qualcosa da varcare, il confine è qualcosa da non attraversare, se no...
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- MA CHE CAZZO VI DICE IL CERVELLO!? -
Lo odio quando fa così. Ora parte l'arringa, come minimo. Ci ha addirittura chiamati nel suo studio per rendere la cosa più grave di quel che è.
- Quanto ho detto che dovevate essere amici, PENSAVO DI ESSERE STATO CHIARO! - conclude Cliff sbattendo sulla sua scrivania la rivista mentre Vivian ed io sembriamo due bambini rimproverati dalla maestra isterica.
Celebrityqualcosa, ha pubblicato le nostre foto alla partita e anche quelle della nostra amichevole conversazione nel parco.
Ed eccolo che riparte.
- Non capite che i nostri sforzi vanno a puttane se voi fate così!? - continua ancora mentre apre la pagina all'articolo che vede me e Vivian prima alla partita e poi che discutiamo nel parco - Non siete persone normali! In tutti i sensi. È così difficile andare d'accordo!? Sì? FINGETE! -
- Non è la giusta sequenza. - dico calmo, lanciando un'occhiata veloce alle immagini. Non voglio nemmeno incazzarmi, per quella che so già essere una battaglia persa in partenza.
- Che!?- chiede lui girando verso di sé il giornale.
- Dopo abbiamo continuato a parlare, prima che lei facesse la scenata da primadonna. - dico accendendo una sigaretta.
- Non ho fatto nessuna scenata. - borbotta lei senza guardarmi in faccia.
Scuoto la testa mentre Cliff mi strappa la sigaretta da bocca e la spegne in un posacenere.
- Quando la smetterai con questa merda sarà troppo tardi. - sbuffa, poi continua, sedendosi sulla sua poltrona da cattivo di 007, come la chiama lui - Non mi interessa se la sequenza è giusta o no, se dopo avete scopato o vi siete picchiati a sangue: quello che mi importa è che sul giornale si vede che siete andati alla partita, nel parco e poi che lei si allontana da te. -
Giocherello con le dita sui braccioli della poltrona in pelle nera e non capisco perché stia facendo la partaccia solo a me. È lei che ha cominciato, che è voluta andare via da sola, con un taxi, dopo dieci minuti di meraviglioso silenzio che mi ha concesso.
Io ci ho provato. Ma, ovviamente, la colpa è mia! Non è lei che è allergica alle normali regole di convivenza sociale, no. Sono io che sicuramente le ho fatto qualcosa, perché è questo che Cliff sta dicendo, neanche troppo tra le righe, con gli occhi quasi fuori dalle orbite.
- Niente da dire, a vostra discolpa? - chiede l'avvocato.
- Prima le signore. - replico indicando lei con la mano.
Non ha detto altro che quella frase da quando è arrivata, in ritardo, a quest'appuntamento. Se ne sta lì seduta a guardare Cliff e a respirare affannosamente, a sistemare la piega che il vestito grigio che indossa oggi le crea sulla coscia.