Capitolo 28

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Canzone: "Hold me while you wait", Lewis Capaldi

Sfreccio sull'asfalto alla velocità della luce, che mi stupisco persino delle mie abilità alla guida. Non credevo neanche che sarei riuscita a ricordami la strada, e invece eccomi qui.

Nella testa mi frullano mille pensieri e mi chiedo se questo non sia soltanto un pretesto per rivederlo.

Ma poi che male c'è? A volte abbiamo bisogno di pretesti.

Parcheggio l'auto davanti al portone d'ingresso e faccio un grande respiro prima di imboccare le scale. Non so nemmeno cosa gli dirò appena ce lo avrò davanti.

Sarò arrabbiata? Sarò felice? E il fatto buffo è che non so bene cosa provo neanche adesso. Sono nervosa, forse un po' irritata, curiosa, anche contenta.

Ciò che è sicuro è che devo mascherare tutto questo caos che ho dentro e presentarmi da lui severa, forte. A testa alta.

Raggiungo l'ultimo piano, chiudo gli occhi e busso due, tre volte. Il rumore inconfondibile dei suoi passi si fa sempre più vicino e inizio ad accumulare veramente molta ansia.

Ma è normale sentirsi così? No, non è possibile. Non me lo so spiegare. E se c'è qualcosa che io non so spiegare allora vuol dire che è meglio stargli lontano.

Ma ormai è troppo tardi.

«Ti mancavo così tanto?» mi canzona subito con un piccolo sorrisetto. Entro nel suo appartamento senza che me lo chieda, senza rispondergli.

Sul pavimento non c'è più traccia di quelle lettere. E adesso?

«Le ho viste sai? Quelle buste verdi. Erano proprio qui» indico a terra mentre lui chiude la porta alle sue spalle «Dove sono?» chiedo innervosita.

Probabilmente chiunque mi considererebbe pazza, direbbe che cosa mai mi interesserà di quei pezzi di carta. E forse avrebbe ragione, ma non ho fatto tutta questa strada solo per sentirmi un'idiota.

«Di quali lettere parli?» si avvicina a me con atteggiamento di sfida. Mi guardo intorno, per cercarle.

Vicino al divano c'è un mobiletto e ne apro tutti i cassetti. Bingo. Proprio nell'ultimo le trovo e sopra leggo: "Per Luce". Adesso sì che sono furiosa.

«Cosa ci fanno qui? Me lo spieghi? Non avevi il diritto di rubarmele!» strillo, mentre Aron rimane sempre calmo e mi fissa, intensamente.

«Non avresti dovuto prenderle. Erano di Ryan!». Non appena sente questo nome si irrigidisce, ma poi si passa una mano tra i capelli e mi viene incontro.

«Lo so» dice di colpo e tenta di accarezzarmi il viso. Scaccio via la sua mano e faccio un passo indietro.

«Lo sai? Non hai altro da dire?» gli punto il dito contro «Pensavi davvero di avere a che fare con una ragazzina stupida? Be', io non sono» mentre io inveisco contro di lui, alza gli occhi al cielo e poi, senza neanche farmi finire la frase, si precipita verso di me e appoggia di getto le sue labbra sulle mie.

Non ci pensa due volte. Mi stacco di colpo. Lo guardo stranita e non riesco ancora a capire perché l'abbia fatto.

«Credi di risolvere tutto dandomi un bacio?» esclamo, ma lui mi cinge la vita con le mani. Sono forti, calde, mi fanno venire i brividi al solo contatto.

Sì, forse potrebbe riuscire a risolvere tutto con un bacio.

Senza un motivo preciso sorrido e Aron mi stringe a sé, baciandomi con desiderio. Lascio che la sua lingua e la mia si tocchino. Il suo sapore è così buono, nuovo, speciale.

Vivimi senza pauraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora