16. Risvegli

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Il risveglio di Siria fu traumatico.

La luce che entrava dalla finestra l'aveva svegliata molto prima del previsto, ferendole gli occhi.

Si sentiva la testa stretta in una morsa e le faceva male tutto.

Lentamente, cominciò a fare mente locale.

Dov'era, cosa ci facesse sul divano e perché aveva ancora il vestito della sera prima e le scarpe.

La morsa alla testa si strinse.

Pensare era troppo doloroso per ora.

Doveva limitarsi a qualche vago ricordo della festa: musica, ragazzi, alcolici, maledettamente troppi.

Sul come era arrivata sul divano di casa avrebbe indagato dopo.

La sua memoria si rifiutava di collaborare, concedendole solo il ricordo di lei che saliva le scale scalza.

Dopo questo, vuoto, nero, buco.

Gemette a voce alta.

Non era piacevole avere un'interruzione così nel flusso dei propri ricordi.

Sentì delle voci da un'altra stanza. Doveva sembrare normale, senza postumi da sbornia. Si mosse, verificando la risposta del proprio corpo: decente, per ora.

Decise di alzarsi: doveva sembrare normale, no?

Invece di mettersi a sedere e poi in piedi, rotolò giù dal divano, ritrovandosi sul pavimento, insieme ad alcuni fogli che probabilmente Sherlock aveva messo lì per un caso che stava seguendo.

Gemette, imprecando in italiano.

Questo non era normale. Si sforzò di mettersi almeno seduta.

I due uomini si affacciarono sulla stanza, richiamati dalle imprecazioni della ragazza.

Sherlock sospirò: i postumi da sbornia di Siria non erano decisamente passati dalla notte prima.

Mentre se ne stava in disparte, a riflettere, Johnsi era avvicinato a Siria.

-Che cosa ci fai sul pavimento, con il vestito di ieri sera?- fece John, preoccupato.

Lei mugolò qualcosa, prima in italiano, poi in inglese.

Sherlock intervenne:-Sta dicendo che non aveva voglia di cambiarsi, ieri sera-.

Siria alzò lo sguardo verso Sherlock. Le sembrava che la guardasse in modo strano. Sentiva che aveva un buon motivo per farlo, ma... Non sapeva quale potesse essere.

La sua mente si rifiutava di collaborare. Ancora. Mugolò di nuovo. Aveva una strana sensazione di nausea e temeva risvolti inopportuni.

Si sforzò di apparire normale.

Si portò le mani alle tempie.
Devo stare bene, pensò.

-Vuoi mangiare qualcosa?- chiese premuroso John, guardandola sempre con un po' di preoccupazione.

Lo stomaco le si rivoltò all'idea del cibo, ma una tazza di the non le avrebbe fatto male. Così, chiese un the, biascicando, se non era troppo complicato per lui.

Johnsi allontanò, dicendo che in pochi minuti avrebbe avuto la colazione.

Siria buttò indietro la testa, sperando che il cerchio che la stringeva cessasse di esistere, ma invano.

Sherlock le si avvicinò.

-Siria, dobbiamo parlare- fece lui freddo, a bassa voce.

Lei lo guardò, e poi rispose:-Non ora Sherlock, per...-.

Sherlock la interruppe:-Ora.-.

Lei scosse la testa, procurandosi nuovo dolore.

-C'è un piccolo problema- aggiunse sorridendo ironica (da dove le venisse l'ironia non riuscì a capirlo).

Sherlock le fece un cenno.

-Non ricordo niente di quello che è successo qui- aggiunse osservando la reazione di Sherlock.

Il detective la guardò, corrugando un po' la fronte, inclinando appena la testa, impassibile, mentre elaborava quell'informazione.
Amnesia. Poteva succedere dopo una serata passata a bere superalcolici. Non sapeva se essere contento di quell'inaspettata notizia, o se avrebbe preferito un confronto con Siria.

Si ricordò che la memoria poteva tornare nel giro di poco, oppure mai più.

Non sapeva neanche cosa sperare.

Johnli interruppe, portando una tazza di the bollente a Siria.

-Tieni... E vedi di riprenderti- disse affettuoso, mentre le porgeva la tazza fumante.

Lei gli sorrise, grata per il fatto che non le avesse fatto domande. Rimase per un po' a bere il the, seduta con la schiena alloggiata al divano e le gambe stese, incrociate. Pensava alacremente a come recuperare la memoria. Voleva sapere cosa era successo di così grave con Sherlock per farlo preoccupare così tanto.

Dopo un po' ci rinunciò, cominciando a sorseggiare il the, tentando di rilassarsi. Chiuse gli occhi, assaporando con calma quel momento di tranquillità. Posò la tazza accanto a sé, portandosi di nuovo le dita sulle tempie. Il mal di testa non voleva andarsene.

Sospirò e riaprì gli occhi. Alzò lo sguardo, e incrociò quello di Sherlock.

Notò quanto fossero particolari i suoi occhi attraversati dalla luce.

Poi, fu come se  le esplodesse la testa. Il dolore le fece chiudere gli occhi, le mani di nuovo sulle tempie.

Gemette di dolore.

Immagini e sensazioni tornarono alla luce.

Rivide se stessa, quella notte, che notava quella stessa particolarità degli occhi di Sherlock appena prima di baciarlo.

Le tornò in mente il sapore di Sherlock, il calore della sua pelle, ma anche la sua decisione nello spingerla via.

Rimase immobile, anche quando l'ondata di ricordi passò.

Ora capiva perché il detective l'aveva guardata con quel misto di rabbia repressa e gelo, quella mattina.

Sherlock le si inginocchiò accanto, temendo che stesse per sentirsi male.

La chiamò un paio di volte, accettandosi che stesse bene.

-Io... Mi ricordo- sussurrò lei timorosa, arrossendo.

Lui la guardò serio.

-Mi... Dispiace averti... Averlo fatto, Sherlock. Ero ubriaca. Ero fuori controllo- continuò a bassa voce.

Lui scrutò i suoi occhi, accettandosi che non stesse mentendo.

Lei abbassò gli occhi.

Sherlock giudicò che fosse sincera.

Le accarezzò una guancia.

-Diciamo che se non lo farai mai più potresti essere considerata perdonata- disse, alzandole delicatamente il viso e facendo incrociare i suoi occhi con i propri.

Lei annuì, avvampando, e sorrise.

Lui si alzò, allontanandosi da lei.

-Riprenditi in fretta, c'è un altro morto- disse secco prima di uscire dalla stanza.

Una figlia inaspettataDove le storie prendono vita. Scoprilo ora