4. Incontro con l'Ispettore

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Siria era in salotto, in piedi, confusa da quanto era appena successo. Suo padre e il suo... Cosa? Chi era quell'uomo? Quel... Come aveva detto? Consulting detective? Cos'era? Non sapeva chi fosse, quindi lo classificò come amico e coinquilino. Ma per ora, pensò sorridendo, chissà che possano esserci sorprese impreviste. In fondo non era andata così male la conoscenza con il suo vero padre. Qualsiasi cosa sarebbe stata migliore del compagno e marito attuale della madre. Perfetto in ogni occasione, pretendeva che lei, in quanto sua figlia adottiva fosse perfetta in ogni occasione. Lo odiava quando sì impuntava e diceva:- Siria, non farmi vergognare di te davanti a tutti!-. E lei aveva retto parecchi anni, aveva stoicamente resistito a vestiti sempre più aderenti, sempre più corti, tacchi sempre più alti, finché un suo amico un po' brillo, incontrato per caso andando ad una di quelle feste l'aveva chiamata "puttana". Da quel momento aveva aperto gli occhi: si era vergognata di se stessa e, in preda alla rabbia, era andata alla festa, aveva sopportato un'ultima volta tutta quella falsità e le aveva detto addio. A casa, infatti, aveva detto al padre quello che aveva realizzato solo quella sera stessa: i loro rapporti erano irrimediabilmente cambiati dopo quella sera. Si sopportavano solo per amore della madre di Siria, e quando erano da soli si tiravano frecciatine velenose che a volte sfociavano in liti furiose. Chissà quante ragazze avrebbero fatto di tutto pur di avere un padre come il suo... Basta pensare a lui, non è il momento, si rimproverò Siria mentalmente, scacciando i pensieri e le immagini del padre con una mano. Sentì dei passi per le scale e sì immobilizzò, trattenendo involontariamente il fiato. John e Sherlock ancora non tornavano (cosa stavano facendo?) e lei non si mosse anche quando entrò nella stanza un uomo di media altezza, capelli grigi, pelle più abbronzata di un inglese medio che appena superò la porta, non la notò perché stava fissando il proprio cellulare. Mentre armeggiava con il telefono, chiamò a voce alta:- Holmes, Watson! Siete in casa? Ho un caso per vo...-. Si interruppe quando alzò lo sguardo e incontrò gli occhi timorosi e insieme curiosi di Siria, che lo scrutavano attentamente. Rimase a bocca aperta e la ragazza non proferì parola, perché subito arrivarono John e Sherlock che fecero le dovute presentazioni. Holmes lasciò l'onore ad un imbarazzatissimo John che avvampò e disse:- Ehm, Detective Lestrade, lei è... Siria... Lei... È mia... Figlia. E, Siria, lui è il Detective Lestrade.-. Aveva pronunciato la parola "figlia" a bassa voce e rapidamente, sperando che il poliziotto lasciasse perdere, ma le sue migliori speranze erano mal riposte: il poliziotto sgranò gli occhi, guardò prima lui, poi lei, poi di nuovo lui e infine, si rivolse a Sherlock. -Holmes, cosa sta succedendo?- disse guardando Siria basito,- le ragazze non crescono in notte, lo sapete, sì?-. Holmes sospirò e aprì la bocca per parlare, ma Siria si alzò e tendendo la mano a Lestrade, disse:- Sono Siria, piacere. Sono arrivata oggi dall'Italia. Mia madre ed io abitiamo lì.-. Lestrade la guardò, ancora più incredulo e stava per ribattere, quando un agente lo chiamò dalle scale, intimandogli di sbrigarsi "a prendere il detective". Quindi il poliziotto fece loro un cenno e si avviarono, seguiti a ruota da Siria, a cui nessuno aveva detto di restare a casa. Fermarono un taxi e vi salirono di slancio e si accorsero solo una volta dentro che Siria, presenza silenziosa, li aveva seguiti. - Cosa ci fai tu qui?- esclamò John, -appena arriviamo noi due scendiamo e TU te ne torni a casa da Ms. Hudson, senza fermate. Chiaro?-. Siria lo fronteggiò e lui sostenne il suo sguardo finché lei non lo distolse, andando a cercare l'aiuto del Sherlock, che disse:- Una scena di omicidio non è il posto per una ragazzina come te, devi tornare a casa Siria, immediatamente.-. La ragazza abbassò definitivamente lo sguardo e si acciambellò sul sedile, aspettando di fare un altro lungo viaggio, fissando ostinatamente fuori dal finestrino. Doveva aspettarselo, in fondo, lei "aveva solo sedici anni, ancora non aveva la maturità adatta per affrontare un viaggio del genere" si ripeté mentalmente con la voce del suo patrigno. Cominciava a sentire la rabbia che le si espandeva dal centro del petto fino a prenderle tutto il corpo, i polmoni, la testa le mani. Cercò di respirare con calma, controllando la fluidità del respiro. Si tranquillizzò nel momento stesso in cui il taxi si fermò e si trovò a implorare con lo sguardo almeno di farla stare fuori. -Ci vediamo a casa, Siria.- John la cercava con lo sguardo, non gli andava che finisse così, ma una scena in cui una vita era stata tolta con brutalità non era adatta ad una ragazza di sedici anni, e poi... Beh, era sua figlia, voleva preservarla il più possibile dalla crudeltà dell'omicidio, con cui lui aveva avuto a che fare per la maggior parte della sua vita da adulto. Sentiva che doveva farle capire che era per il suo bene, ma non sapeva come. Stava per andarsene, ma senza pensarci, le sfiorò una guancia con una carezza, tanto lieve quanto dolce. Riuscì a strapparle un sorriso e uno sguardo quasi di ringraziamento ma, mentre dava istruzioni al tassista per riportarla a casa, arrivò Lestrade di corsa e disse:- Watson, mi serve sua figlia. Non la rispedisca a casa, mi serve qui e subito.-.

Una figlia inaspettataDove le storie prendono vita. Scoprilo ora