34. Copertura saltata

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Passò un altro giorno d immobilità in Accademia, frustrante. Siria aveva i muscoli contratti e un leggero brivido freddo, mentre invidiava interiormente Sherlock, che sembrava resistere con stoica sopportazione all'immobilità e all'aria condizionata a temperature polari.

-Vado a a fare un giretto, tu resta qui e non muoverti, ok?- le disse Sherlock.

Lei colse al volo uno sguardo che la inchiodò al proprio posto: era stato tassativo. Sbuffò, voleva anche lei un po' d'azione. Si mise a fare stretching per scaldarsi e passare il tempo, in attesa del ritorno del detective.

Sherlock si diresse a passo spedito ai magazzini: doveva vedere il luogo dove venivano riposte le statue venute male, che erano quelle sostituite con cocaina pressata e spacciata per gesso; un trucco vecchio quanto il mondo. Sorrise della stupidità dei trafficanti, ma si tese improvvisamente: aveva sentito un rumore molto poco piacevole. Sapeva riconoscere immediatamente lo scatto di apertura di un coltello a serramanico e immaginava che chi lo avesse appena estratto non volesse offrirgli the e biscottini fatti in casa.

-Che ci fai tu qui?- ringhiò un uomo che gli si parò davanti.

Sherlock finse un'aria timida e un po' gay mentre rispondeva: -Oh, salve... Credo di essermi perso. Il professor Grad mi ha chiesto di recuperare una sua statuetta finita per caso tra quelle venute male, e sarebbe un peccato che venisse persa... Puoi aiutarmi?-.

-Vattene- sentenziò l'altro.

Sherlock si avvicinò con apparente ingenuità.

-Mi hai sentito?- ringhiò l'uomo, mentre Sherlock notava le contrazioni del bicipite scoperto, pronto ad alzare il coltello e colpirlo.

Sherlock non attese altro: scattò in avanti, bloccando in anticipo il braccio dell'altro e colpendolo con una gomitata in pieno viso, seguita da una alla bocca dello stomaco e da un colpo netto alla tempia, che fece perdere i sensi all'uomo. Il detective si guardò intorno in silenzio, teso: nessun rumore, nessuno movimento. Andò avanti, fino a trovare le statue, in un vero e proprio laboratorio nascosto nei magazzini. Scattò alcune foto per documentare le proprie scoperte, finchè non gli si posò del freddo metallo sulla nuca: una pistola.

-Un piccolo gattino curioso, o una pantera travestita da gattino...?- mormorò una calda voce di donna.

Sherlock cercò di mantenere la calma.

-Co-cosa...? M-mi sono p-perso...- sussurrò, fingendosi agitato e spaventato.

-Non ti credo, consulente detective-.

Sherlock digrignò i denti: la copertura era saltata, doveva fuggire, dovevano fuggire, doveva portare Siria in salvo.

La donna si spostò davanti a lui puntandogli la pistola alla testa.

-Dammi il telefono, zuccherino- lo fissò lei.

Sherlock inclinò lateralmente la testa, mentre deduceva la donna rapidamente.

-Non credo di potere... In qualche modo dovrò pur mandarti in prigione, mia cara- sorrise glaciale.

Lei alzò il cane della pistola: era pronta a sparare.

-No.-

Lei alzò le spalle con un sorriso sadico.

-Allora add-... - cominciò a dire prima che un blocco di marmo la colpisse sulla testa e la facesse svenire.

-Ottimo lancio, ragazzina-

-Stava per ucciderti-

-Sapevo che mi avresti seguito-

-Non è vero-

Lui alzò le spalle.

-Dobbiamo andarcene, ma prima dobbiamo lasciare un ricordo a questi simpatici signori- disse con gli occhi luccicati da bambino. Siria lo guardò stupita mentre distruggeva gli impianti e le macchine, e sorrise divertita quando lui disegnò un enorme smile di gesso bianco su un macchinario.

Delle voci misero fine al loro divertimento.

-Via di qui. Seguimi- disse lui, correndo via e imboccando l'uscita sul retro, seguito dalla ragazza.

Salirono al volo su un taxi.



Una figlia inaspettataDove le storie prendono vita. Scoprilo ora