18. Passato e presente

1.2K 126 15
                                    

Il gelo scese dentro di lei.

Indietreggiò.

Sbatté contro il muro.

Scivolò con la schiena contro la parete, piegandosi sulle ginocchia.

Il suo cuore era fermo, non osava respirare.

Si prese il viso tra le mani.

Un dolore lancinante le attraversò la testa: un flashback.

"Ti stai divertendo, ragazza?"
La prima frase che le era stata rivolta da lui.

Lottava contro il dolore, accasciandosi a terra.

Gemeva, mentre percepiva che Sherlock e Johnerano accanto a lei.

Ma lei non poteva dir loro niente.

Doveva risolvere tutto da sola.

Ricordava gli alberi e il sole. I suoi amici e le risate. Ricordava ogni particolare. Ricordava anche il gruppo di altri ragazzi che li infastidiva; la rissa che era nata poco dopo. Ma soprattutto l'intervento dell'uomo.

Il dolore diminuì.

Era stata portata su un divano.

Percepiva in modo confusionario una serie di sensazioni: Johnche le teneva la mano, Lestrade che parlava chiedendo agitato cose che non capiva. Più di tutte percepiva su di sé lo sguardo penetrante di Sherlock: le stava sezionando l'anima, ne era cosciente.

Doveva resistere.

Di nuovo una fitta alla testa.

I suoi occhi calmi contro quelli rabbiosi di lei. La mano di lui che afferrava con una morsa ferrea il polso della ragazza, pronta a colpire. "Ti stai divertendo, ragazza?". Poi l'aveva colpita con violenza. Ricordava il sapore della terra e del sangue. I suoi amici erano scappati, così come gli altri ragazzi. Era rimasta solo lei, stesa a terra con un labbro spaccato. L'uomo se ne andò. Lei rimase stesa a terra. A pensare. A riflettere.

Di nuovo, il dolore diminuì.

Rimase con gli occhi chiusi.

Percepiva ancora la mano calda di Johnche teneva la sua, accarezzandone dolcemente il dorso; percepiva i passi nervosi di Sherlock per la stanza; percepiva Lestrade, che parlava con i suoi agenti.

Aprì gli occhi.

Non poteva dire niente.

Poteva farcela da sola.

Pensò alla parola greca che aveva appesa, scritta in lettere giganti, in camera: αυτάρκεια, il bastare a  se stessi.

Era quello che avrebbe fatto.

Sarebbe bastata a se stessa.

Ce la poteva fare.

I ricordi avevano smesso di tormentarla e una superficie di tremolante calma era scesa nella sua testa.

Si concentrò su qualcosa che non fosse il caso. Ma cosa?

Non c'era altro.

Presa dalla disperazione si agitò sul sedile del taxi.

Johnla guardò preoccupato e le prese la mano.

Lei lo guardò sorridendo. Era incredibile come avesse capito al volo le sue condizioni, anche se non era così difficile intuirle, dopo quello che le era successo.

Sospirò.

Si sentiva incredibilmente stanca.

Il telefono le vibrò.

Imprecò mentalmente: chi era così inopportuno? Si chiese mentre tirava fuori il telefono e dava un'occhiata allo schermo.

Numero sconosciuto, dicevano le scritte di pixel.

Aprì il messaggio, inquieta.

"Ti stai divertendo, ragazza? -CG"

Le mancò il fiato.

Distolse lo sguardo, bloccò lo schermo, e guardò fuori dal finestrino, reprimendo le lacrime.

Ora era tutto chiaro.

La resa dei conti era vicina, se lo sentiva.

Vedendo la reazione di Siria, Johnsi mosse per confortarla e capire cosa succedeva.

Sherlock lo fermò, mettendogli una mano sul ginocchio.

Incrociarono gli sguardi.

Sherlock scosse piano la testa.

Johnlo guardò interrogativo.

Sherlock non si mosse, rimanendo in silenzio.

Stava aspettando di vedere la reazione di Siria.

Lei distolse lo sguardo dal finestrino e lo riportò sullo schermo.

Cominciò a scrivere.

Inviò.

Riportò lo sguardo fuori dal finestrino.

Sherlock guardò in modo significativo John. Poi gli fece cenno di andare da lei. Lui le prese la mano nel momento in cui il taxi si fermava.

Scesero.

Lei si sottrasse al contatto, volando nell'appartamento.

Sherlock la vide mandare altri due messaggi, prima che si chiudesse in bagno.

Una figlia inaspettataDove le storie prendono vita. Scoprilo ora