i.vii BENVENUTI ALL'INFERNO

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I'LL DO BETTER (1.1) | sette

"benvenuti all'inferno"parte uno

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"benvenuti all'inferno"
parte uno

"Forgive me
for I am not acting myself
But these bees in my breath
have to come out"
bad blood - bear's den

Quella notte riuscii a vedere le stelle luminose nel buio quasi totale.

Era strano. Quando ero sull'Arca non avevo mai fatto molta attenzione allo spazio.

Ero nata nell'oscurità, nell'immensità dell'ignoto, in uno dei luoghi più misteriosi e studiati dalle generazioni passate, ma non ne ero affatto attratta. Quella era la normalità. Il buio e le stelle erano soltanto una realtà noiosa.

L'unica eccezione a quella monotonia era il pianeta distrutto dalle radiazioni, visibile dalla piccola vetrata della mia camera. Quando ero piccola erano tante le volte nelle quali mi mettevo seduta ai piedi del letto e puntavo il mio sguardo fuori. Immaginavo la mia vita sulla Terra. Mi chiedevo se un giorno ci sarei arrivata insieme ai miei genitori, lo speravo. Quella camera grigia era troppo piccola per la mia famiglia, e le cose da fare al suo interno erano limitate. Mentre lì fuori, sicuramente mi sarei sentita libera di giocare in un mondo tutto per noi, pensavo.

Fantasticavo e mi piaceva farlo. Almeno, fino alla morte di mia madre.

Ero arrivata sulla Terra, e tutti i miei sogni sulla vita perfetta che avrei passato insieme ai miei genitori erano svaniti nel nulla.

Sull'Arca osservavo la Terra, sulla Terra osservavo le stelle e ne provavo una nostalgia immensa. E, in tutti quei pensieri, mi resi conto di avere una certezza: che non sarei mai stata felice nella mia vita, a meno che non avessi iniziato ad apprezzare quel che avevo intorno.

Ci provavo. Provavo a godermi a pieno i tesori di quel pianeta, ma non ci riuscivo. Ogni volta che mi guardavo intorno, nella mia mente mi si mostrava un ricordo.

Appena fuori dalla navicella, accanto al fuoco, rivedevo Clarke accusare Murphy della morte di Wells.

Proseguivo inevitabilmente con lo sguardo, ripercorrevo la strada per arrivare all'albero dove era avvenuta la sua esecuzione. Lo vedevo supplicare in cerca di aria. Lo vedevo a terra, salvo, ma comunque a pezzi. Lo vedevo desideroso di vendetta.

E poi Bellamy che lo prendeva a pugni, Clarke che decideva il suo destino, e lui che mi pregava di tornare dalle persone che lo avevano bandito.

La seconda certezza che mi pervase era che non mi sarei mai sentita a casa in un posto senza Murphy.

Se Bellamy non mi avesse liberato quella notte, forse non avrei provato tutto questo dolore.

<<Miller, mi serve il tuo aiuto>> aveva detto al ragazzo, una volta entrato al piano più alto della navicella.

𝐼'𝐿𝐿 𝐷𝑂 𝐵𝐸𝑇𝑇𝐸𝑅 ¹ ➜ bellamy blake, john murphyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora