Taehyung p.3

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Il mio Album, mi aveva reso una persona super impegnata e pur faticando a star dietro a tutti gli eventi che la BigHit, (proprio lei visto che avevo firmato un nuovo contratto con la mia cara vecchia etichetta) aveva organizzato per me, ce la mettevo tutta. Ero stanco, ma motivato perché sapevo che le persone a cui volevo bene erano orgogliose di me, della mia determinazione e della mia capacità di toccare i cuori di tutti con i miei testi.

Anche Jungkook a modo suo mi aveva dimostrato il suo sostegno, lui che inconsapevolmente era stato il motore di ogni mia emozione, aveva provato anche a distanza a starmi vicino, con le sue chiamate a notte fonda, per dirmi che ero stato bravo o per chiedermi se avessi mangiato abbastanza e se ogni tanto fossi andato in palestra.

A me come sempre bastava quello, o meglio avevo imparato a farmi bastare quello, a patto che dall'altro lato dello schermo il volto di Jungkook fosse sereno e felice.

Una sera di fine novembre, però il Jungkook dall'altro lato dello schermo, era diverso, aveva uno sguardo stanco, sembrava rassegnato. Era così strano che arrivò a chiedermi un parere oggettivo sul proprio talento.
Lui il ragazzo che non temeva nulla, dal carisma incredibile stava perdendo fiducia in se stesso?

Provai a rassicurarlo, dicendogli che erano gli altri a non capirlo perché avevano solo paura delle sue doti, ma Jungkook non sembrava crederci, tanto da cominciare a piangere dietro lo schermo del telefono, mi crollò il mondo addosso, cosa gli avevano fatto? Avevo visto raramente Jungkook piangere e aveva sempre avuto un serio motivo. Come avevano potuto ridurre così il mio Jungkookie, lui che era una ragazzo così forte e determinato si stava facendo schiacciare.

Senza pensarci troppo guardandolo negli occhi attraverso quel pezzo di plastica, gli dissi che ci avrei pensato io, lo avrei aiutato ad ogni costo.
Il giorno dopo con un trolley pieno, comprai un biglietto aereo e andai da lui.
Chiamai il mio manager, gli feci cancellare
tutti gli eventi imminenti e spostare nei primi mesi del nuovo anno tutti gli altri, non volevo deludere le persone che mi stavano supportando, ma Jungkook anche lontano restava sempre il mio mondo e io non potevo permettere che nessuno lo ferisse.

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Quando sbarcai in America mi sentii un pesce fuor d'acqua, io in quella parte del globo mi ero sempre sentito fuori posto, ma per lui avrei affrontato anche quello. Chiamai un taxi, mettendo in pratica l'inglese che tanto avevo faticato ad imparare e mi feci portare a casa di Jungkook.

Provai a chiamarlo più volte lungo la strada, ma senza fortuna, così arrivato lì mi attaccai al campanello e rimasi ad aspettare, fin quando dei capelli neri arruffati sbucarono dalla porta.
Era già pronto ad inveire contro chiunque avesse osato disturbare il suo sonno, ma alzò lo sguardò e si ritrovò davanti i miei occhi preoccupati, si butto tra le mie braccia senza nemmeno farmi entrare, riversandomi addosso lacrime e frustrazione.

Con alcune carezze sulla schiena e un semplice "ci penso io ora " cominciò a calmarsi e io sospirai . Ora cominciava il mio compito, avrei aiutato il mio Jungkookie a ritrovare se stesso e a combattere contro chiunque lo avesse ridotto in quello stato.

Sorpreso di ritrovarsi me in casa, Jungkook mi disse che potevo sistemarmi nella camera degli ospiti, così poggiata la valigia e preparato il caffè ci ritrovammo a parlare seduti sulle poltroncine della sua terrazza vista mare.

Fu lì che capii che in tutti quei mesi in cui eravamo stati lontani, Jungkook mi aveva sempre nascosto quello che stava provando, perché non voleva che mi preoccupassi per lui.
Sapeva che far uscire un album era un lavoro difficile e lui non voleva darmi alcun peso, voleva sostenermi e io gliene fui grato perché si era preoccupato per me, era rimasto ancora il cavaliere che mi voleva bene.

Solo che sentire quanto Jungkook avesse dovuto combattere per farsi accettare, per far ascoltare la sua arte senza risultati, pur avendo un contratto discografico milionario già firmato, mi rattristò. Aveva ricevuto così tanti rifiuti, accuse di plagio e cattiverie in quei mesi che aveva cominciato a pensare che fosse davvero nel torto.

Poco dopo l'arrivo a LA Jimin era stato qualche settimana lì per uno stage intensivo di danza e pur non sapendo la situazione con l'etichetta, gli aveva dato un po' di forza per andare avanti, ma era durato poco.
In quell'anno da solo il Jungkook sorridente e determinato, che non aveva paura di nulla, era stato smontato pezzo per pezzo, facendo riemergere quel ragazzino insicuro che al mio fianco era diventato una stella.

Passammo tutto il giorno su quella terrazza e dopo un hamburger takeaway e una bottiglia di vino, finimmo sul divano ad ascoltare tutti i brani che Jungkook aveva inciso, erano uno meglio dell'altro e io glielo dissi con tutte le parole che riuscivo a trovare.
Aveva composto dei pezzi bellissimi e così diversi che riuscivo a cogliere ogni sfumatura del suo carattere, quelli grintosi mi portavano alla mente il Jungkook scatenato che saltava sul palco, quelli lenti e malinconici mi ricordavano le notti in cui si addormentava sul mio letto guardando un film.
Ce n'era uno straziante, il titolo era Faded Shadow, parlava di un'ombra innamorata che aveva preferito dissolversi che provare davvero cosa fosse l'amore. Mi aveva così colpito che mi voltai per chiedere a Jungkook quando l'avesse composta, ma lo trovai addormentato dall'altro lato del divano, con il viso finalmente rilassato, qualcosa in fondo non era cambiato.

Spensi l'impianto hifi cercai una coperta per coprirlo e andai anche io a dormire, la situazione era chiara, stavano facendo di tutto per distruggerlo e buttarlo fuori dal mercato, ma io non lo avrei permesso, per una volta volevo essere io il suo cavaliere, avrei rispedito il ragazzino Insicuro nei vecchi ricordi e fatto risplendere il mio Jungkook.

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Prima cosa il giorno successivo organizzai una conference call con i nostri vecchi compagni di band, avevo bisogno di un consiglio e loro erano gli unici di cui potevo fidarmi ciecamente.
Così convinto Jungkook spiegai loro la situazione, certo avrebbero anche loro voluto sapere quello che il loro Maknae aveva passato, per poterlo aiutare prima, ma misero da parte ogni cosa e lo ascoltarono, cercando di trovare una soluzione.
L'unico punto su cui tutti furono d'accordo fu la necessità di sciogliere il contratto discografico per cercarsi una nuova etichetta e in secondo luogo, trovare un secondo manager che potesse tutelare Jungkook.

Archiviata la chiamata, con la promessa di tenerli informati, e la disponibilità di tutti ad aiutarci in ogni modo io e Jungkook eravamo pronti a lavorare insieme.
Contattammo un po' di avvocati fidati per capire cosa comportasse l'annullamento del contratto e iniziammo a vagliare tutti i possibili candidati al ruolo di manager, passammo giorni e settimane a studiare ogni mossa, vivendo insieme una strana quotidianità, fatta di ore al computer e al telefono, giornate ad esplorare la città, camuffandoci come solo noi avevano imparato a fare e mangiando nei posti preferiti di Jungkook.

Aveva ricominciato a sorridere Jungkook e io al suo fianco mi sentivo al posto giusto anche se ero dall'altra parte del globo, finii quasi per amare quella città calda, colorata e piena di musica, ritrovandomi stranamente felice, con Jungkook che finiva sempre in cucina e io sulla terrazza a guardare il mare, per poi lavare i piatti dopo mangiato.

.... to be continued

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