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PRESLEY'S POV

«Peps... Non muoverti!» Si precipitò immediatamente mentre percepii istantaneamente l'ansia che lo travolse ed il terrore che riempì i suoi occhi.

Gemetti stravolta dal dolore cercando di liberarmi freneticamente dalla tagliola avvinghiata da una catena inchiodata al suolo e che aveva ficcato le sue punte affilate nella mia carne. Lui mi soccorse immediatamente bloccando a terra la mia gamba e cercando con la torcia del telefono di riuscire a capirne il meccanismo, affinché potesse aprirla mentre mi sentii debole, quasi al limite di perdere i sensi per la fuoriuscita del sangue.

«Cazzo, cazzo!» Sbottò agitato portando il telefono all'orecchio per chiamare aiuto. «Non c'è campo!...Cercherò di aprirla con la forza, Peps, ma dovrai trascinare fuori il piede, okay?»

«Fai in fretta...» piagnucolai in balia della sofferenza pensando a quei poveri animali «...mi fa troppo male!»

Afferrò il ferrò addentato saldamente alla mia caviglia e sprigionò tutta la forza che aveva a disposizione finché i denti incominciarono ad aprirsi, lacerando di nuovo la mia pelle. «Piano, piano....così, brava!» Mormorò mentre vidi che pure lui si graffiò i palmi. Se avessi levato il piede velocemente, come minimo, lo scatto del meccanismo gli avrebbe amputato una mano. «Ci sei?»

Annuii tra le lacrime. «Sì!»

«Bene, ora!»

Sfilai il piede mentre lui lasciò la presa ; i denti della tagliola si chiusero ferocemente, ma sul niente stavolta. Mi lasciai cadere all'indietro sul suolo, respirando affannata e non avendo il coraggio di dare un'occhiata alla carne lacerata, cosa che però fece lui.

«Non è grave.» Disse sfilandosi la sua maglietta per poi strapparne il tessuto in tante piccole strisce, affinché le me avvolgesse. «Ma devo bloccarti il sangue.» Vidi le sue mani ricoperte del liquido rosso, non capendo se fosse il mio oppure anche il suo, mentre fece tutto con calma e delicatamente. «Torniamo a casa!»

«No!» Mi ressi sulle sue braccia e mi sollevai in piedi, zoppicando affaticata.

«No? Che significa ,no?» Sbottò. «La caviglia va medicata e tu sei fradicia. Ti prenderai come minimo un raffreddore e te la amputeranno.» Cercò di spaventarmi, anche se lo sentii ridacchiare alle mie spalle quando mi incamminai ritornando sul sentiero, dove vidi in lontananza la tabella che indicava il rifugio.

«Torna pure a casa se vuoi, me la caverò da sola.» Accelerai di proposito, non rendendomi affatto conto che in realtà stessi andando alla velocità di una tartaruga, finché mi fermò e mi fece salire sulle sue spalle.

«Reggiti!» Ordinò duramente, pensando che fosse una terribile idea, ma mi conosceva anche bene e sapeva quanto fossi testarda. «Di qua?»

Annuii, posando la faccia tra il suo collo e la sua clavicola mentre guardò bene a dove mise i piedi, camminando sotto gli alberi affinché non ci bagnassimo ulteriormente. «Davvero me la amputeranno?»

Trattenne un sorriso, si voltò a guardarmi per un'istante ma non fiatò. Tempo una decina di minuti trovammo il luogo ; era una piccolissima casetta costruita in legno, grande quanto una stanza di quattro metri quadri circa. Accese un paio di candele rovinate piazzandole al centro dell'area per donare un po' di luce mentre constatai che oltre all'unica finestra, c'era una specie di panca, delle coperte piegate ed un piccolo camino improvvisato dove notai della legna fresca, usata poco tempo prima.

«Ci sono delle cose lasciate da persone che probabilmente si sono fermate qui.» Incominciò a rovistare in una vecchia mensola per cercare qualcosa che potessimo usare per medicarmi la ferita, mentre mi strofinai le braccia, infreddolita. «C'è del miele.»

Agrodolce - vol.2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora