PRESLEY'S POV
La stanza d'ospedale era piccola e spoglia. L'avevo condivisa con un'anziana signora che mi aveva anche gentilmente offerto dei biscotti che le avevano portato nel pomeriggio precedente le sue dolcissime figlie. Mi aveva raccontato variate volte la storia della sua vita, dei suoi innumerevoli nipoti e del suo cagnolino e chiesto altrettante volte come mi chiamassi, finché l'infermiera notturna mi informò che avesse l'Alzheimer . Non chiusi occhio quella notte, appoggiai la testa sul guanciale e fissai la porta bianca della stanza nell'attesa che lui la varcasse da un momento all'altro o che mi inviasse perlomeno un messaggio. Volevo semplicemente sapere dove e come stava. Sapevo che Nathan stava bene e che Santi lo aveva riaccompagnato in villa, siccome non potevano rimanere. Di Harry, invece, nessuna notizia. Oppure nessuno si degnava di raccontarmi la verità.
Piansi in silenzio, lasciando che le lacrime venissero risucchiate dal tessuto bianco della federa di cotone mentre i flash di quello che accadde qualche ora prima invasero la mia mente, non dandomi tregua fino alle prime ore del mattino dove venni portata via per degli accertamenti ed un elettrocardiogramma che poi, una volta ritornata, toccarono anche alla mia gentile compagna di stanza. Feci colazione e mi appoggiai alla testiera del letto tentando di prendere sonno, dato che da ciò che appresi, avrei comunque passato anche l'intera mattinata in ospedale.
Sentii qualcosa sfiorarmi dolcemente la testa con movimenti leggeri e rilassanti, finché un paio di labbra calde premettero delicate sulla pelle della mia fronte. Sorrisi ancora con gli occhi serrati, certa che fosse lui mentre percepii la sua anima fremere contro il suo corpo per constatare con tutte le sue forze che io stessi bene.
Dall'istante che riaprii gli occhi, i suoi, non mollarono mai i miei. Nemmeno accidentalmente. Restammo a guardarci come di consueto. Amavamo farlo, senza la necessità di dover spiegarci o capirci a parole. Bastavano i suoi occhi nei miei ed i miei amalgamati nel verde smeraldo dei suoi e tutto andava magicamente al proprio posto. Ci studiammo, capimmo di stare bene. Ci rasserenammo mentre portò la mia mano sulla sua bocca, affinché ci posasse un lungo bacio, poi sospirò a lungo vedendomi afflitta e preoccupata. Un po' per le sue condizioni emotive, un po' perché ero ancora arrabbiata con lui per ciò che fece a Nathan.
«Stai bene?» Mi chiese, non mollando la mia mano sulla quale ci lasciò vari baci o carezze.
Annuii. «Dovrei uscire questo pomeriggio. Le infermiere dicono che mi stanno facendo degli esami per una sospetta anomalia al cuore, ma fino ad ora non so niente di più.» Tese e rilasciò in continuazione i muscoli della mascella udendo le mie parole, finché gli accarezzai il viso, affinché si rilassasse e chiudesse gli occhi gonfi e stanchi di chi aveva trascorso la notte in bianco. «Sono stata in pena per te.»
«Ero in commissariato, non mi hanno nemmeno permesso di fare una telefonata.» Mi riferì. Ecco perché Santi non aprì bocca, altrimenti mi sarei preoccupata, cosa che però accadde lo stesso. «Stavo morendo perché non sapevo se stavi bene o meno.»
«Sto bene.» Sussurrai.
«Sono un coglione.»
«Lo sei e sono davvero amareggiata dal tuo comportamento di ieri sera. Devi imparare a gestire la rabbia, non a farti travolgere usando pretesti simili per sfogarti contro un ragazzo che non ti ha fatto niente, Harry. Non so se hai visto, ma l'hai conciato davvero male e mi viene da piangere a pensarci.» Mormorai massaggiandogli piano le palpebre, le borse sotto gli occhi. «Non deve ripetersi mai più, ti prego!» Aggiunsi con il magone. «Promettimelo.»
«Te lo prometto.» Sorrise, anche se un'espressione per nulla fiera comparve sulla sua faccia segno che i sensi di colpa lo stavano divorando. «È colpa mia se sei qui e questo mi dilania l'anima.» Sospirò rammaricato e sincero. «Non ne vado fiero, credimi, ma quando ti ho vista in quello stato, non ci ho capito più niente, Peps. Ce l'ho con lui da anni e-...» sospirò «..loro sono sempre stati una famiglia. Lascia stare quello che ti ha riferito Chloe. Lei ha sempre dedicato le sue attenzioni a tutti quanti. Tutti tranne all'unico che meritava di riceverle. Io!» Sbottò in un comprensibile sfogo. «Non mi hanno mai calcolato nonostante ne avessi così tanto bisogno e so che sono un coglione che non fa il minimo sforzo per farsi voler bene, ma è pur sempre vero che ero solo un ragazzino quando sono andato negli States. Un ragazzino che non ci capiva ancora un cazzo della vita, che era solo. Che aveva semplicemente bisogno di un po' più di insistenza. Un ragazzino che si portava dentro macigni di sofferenza repressa, giungendo a credere che fosse inadeguato. La pecora nera di ogni situazione.»

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Agrodolce - vol.2
Fanfiction{Sequel di Agrodolce} Presley trascorrerà l'estate nel cuore della Toscana immersa in paesaggi mozzafiato di vigne ed uliveti, piccoli borghi e feste campagnole per riprendersi quella spensieratezza che la tragica notizia della scoperta che l'amore...