LEI
Fu un periodo strano. Un periodo di metamorfosi.
Sarebbe bastato uno sguardo alla nostra vita per confermare i passi notevoli che stavamo conducendo, come pagine di un libro sfogliate con impellenza.
Anna aveva trovato un'opportunità lavorativa, fuori città.
Eric e Leila avevano deciso –finalmente- di ufficializzare la loro relazione.
Il ristorante stava prendendo forma: rimarcava le stesse disposizioni di prima. Solo con nuovi colori. Nuovi arredi. È nuovo intonaco.
Can aveva assunto un noto architetto. Nulla al caso. Desiderava che tutto fosse impeccabile. Intanto aveva dimenticato casa. O era al ristorante a controllare i lavori. O volava ai margini della città per servizi fotografici. Aveva dimenticato persino Albatros. Perlopiù scriveva di notte e pubblicava di giorno.
Frank non s'era fatto più vedere. Diceva di essere impegnato. Aveva trovato un lavoro. Quale fosse, nessuno lo sapeva. A differenza dei genitori di Can che avevano fatto incursione in casa nostra un paio di volte. E in maniera del tutto spontanea. E ciò mi rese davvero fiera.
Ed io?
Conducevo una vita traslucida, semplice e priva di fronzoli.
Badavo a mia figlia. Studiavo. Correvo al ristorante nel pomeriggio. E poi badavo alla casa. Di sera crollavo sfinita. La maggior parte delle volte sul divano. Ma al risveglio mi ritrovavo nel mio letto e Can non c'era. Era già all'opera.
Sembrava che non riuscissimo a vederci da secoli.
Come se non bastasse anche le nostre finanze erano cambiate. Avevamo dato fondo a qualsiasi gruzzolo. A qualsiasi risparmio. E il sogno del matrimonio stava svanendo, sfumando come nuvole dopo una tempesta.
Un giorno raggiunsi due cognizioni necessarie. Prima fra tutte: dovevo parlare con Frank.
Seconda: dovevo trovare un lavoro.
Qualcosa che permettesse a Can di tornare ad un po' di libertà. Qualcosa che permettesse alle nostre finanze di rimpinguarsi velocemente. Qualcosa che permettesse a noi di sposarci al più presto e chiudere ogni faccenda in sospeso.
Eric si offrì di accompagnarmi in centro e cercare un impiego. Così un giorno, lasciai che mia madre badasse a Bianca e andai all'università. Avevamo appuntamento nel giardino. Mi sedei ad attendere lì che uscisse dall'ultima lezione.
In quel momento parve che un'opportunità inaspettata trovasse me. Senza che mi sforzassi di cercarla.
Il professore di storia notò la mia presenza. Accorse con sollecitudine.
Ci furono vari convenevoli. Mi chiese come andasse la mia vita. Avrei voluto rispondergli che i profondi cambiamenti che stavo subendo si avvicinavano alle rivoluzioni storiche. Ma preferii tacere e limitarmi ad un tutto bene.
"avevo bisogno di parlarle da un po'!"mi disse d'un tratto Fui perplessa.
"con me?"
Annuì e poi parlò ancora.
"un'azienda cerca una stagista per alcuni mesi, e necessitano di qualcuno che abbia già avuto esperienze all'estero ... ed ho subito pensato a lei!"
"ora ho una bambina non posso viaggiare di nuovo!" parlai sicura. "no no si sbaglia, l'azienda è qui in città!"
Sentii che forse quella fosse davvero un'occasione da prendere al volo. Un impiego già familiare.
Bastò.