desiderio ...

3.3K 234 106
                                    

LUI

Volevo davvero sposare Sanem.

Mi sembrava che l'attesa stesse divenendo un tormento. Un supplizio al buon senso. Un mese non sarebbe bastato a preparare ogni cosa. Così da uno, eravamo giunti a concordare due mesi.

Solo due mesi. Non sembrava chissà quanto tempo. Eppure, mi sentivo irritato. Volevo sposarla subito. Un mese. Due mesi. Erano troppi.

Il tempo continuava a scorrere con lentezza. Sentivo l'animo ribollire per l'attesa.

Lo avevo detto anche ad Eric. Gli avevo confessato tutto il tormento dell'attesa. E mio fratello, dopo aver disegnato una smorfia, mi aveva inchiodato con i suoi occhi blu. E poi aveva detto che cosa ti cambia, è come se lo foste già!

Ma si sbagliava.

Nella mia vita non avevo mai avvertito l'esigenza di legarmi indissolubilmente a qualcuno.

Nessun ripensamento dopo aver abbandonato casa mia. Nessun ripensamento dopo aver abbandonato casa di mia nonna. E nessun ripensamento nei Balcani. Nessun ripensamento in America e nessun ripensamento in Inghilterra.

La mia libertà era sempre stata la mia unica ancora. La mia vera forza di gravità.

Ma poi avevo scelto di tornare in Turchia. Dalla mia famiglia. E avevo conosciuto Sanem. Me ne ero innamorato. E non a poco a poco.

Un solo sguardo era bastato. Avevo capito che la mia libertà non era nulla.

Lei era la mia libertà. La mia ancora. La mia forza di gravità.

Sapevo cosa volesse dire la paura di dividere le nostre vite. La paura di veder sfumare quell'amore che mai più avrei provato per nessuno. La paura di averla lontana da me.

E sembrava che un semplice anello all'anulare potesse conferire un senso legittimo a ciò che non volevo fosse mai disciolto: il nostro legame.

Volevo lei. Sempre. Volevo che l'anello al mio dito ricordasse a tutti che era mia.

E così da quel discorso con Eric avevo iniziato a contare i giorni.

E la cosa più irritante era che miei giorni erano scanditi da una routine snervante. Lavoravo. Scrivevo articoli. Poi magari provavo a portarmi avanti. E occupavo la giornata con qualche altro servizio fotografico. Alcuni erano a pochi chilometri. Altri mi costringevano a fare il giro della città. A volte sino al confine del paese più vicino.

Cercavo di recuperare dei risparmi. Avevo alcuni piani da rispettare. Ma il sovraccarico di quei giorni mi portava via dalla mia famiglia.

Un giorno tornai a casa prima del previsto.

Percorsi le scale con cautela e sbirciai in ogni stanza.

Mi destreggiai con passi silenziosi nel corridoio di casa, sino a giungere alla camera da letto.

La porta era dischiusa.

Riuscii ad intravedere Sanem, distesa sul letto.

Era adagiata su un fianco. Una mano le sorreggeva la testa. L'altra invece era a mezz'aria. E disegnava linee immaginarie. Bianca era distesa sul letto. Accanto a lei. E cercava di seguire con gli occhi le linee immaginarie.

I suoi occhi erano sempre più simili a quelli di Sanem. Proprio come avevo presagito.

La mano di Sanem sembrò distrarsi. Le linee divennero sempre più incerte. Lasciò che la mano smettesse di catturare l'attenzione di Bianca e la posò sul suo pancino. L'accarezzò con delicatezza e fierezza.

Ti voglio ancora💞Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora