CAPITOLO 1

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«Chi ha il coraggio di ridere, è padrone del mondo».
-Giacomo Leopardi.



«Forza ragazzi, in piedi, veloci! Abbiamo un 10-55, ripeto: un 10-55 al liceo L. Fibonacci!» grida l'ispettore Moriconi battendo le mani per richiamare l'attenzione dei suoi uomini, camminando a passo spedito per la centrale, «Allora: Gabriele, Valerio ed Elisa andate avanti e interrogate subito il preside e la vice preside. Il gioielliere è già partito, vi incontrerete là. Adriano, Tiziano e Gianmarco con me! Adriano prendi la macchina fotografica. Iniziate ad andare alla macchina, io avviso il Commissario!» detta ordini il ragazzo quasi sulla trentina mentre i suoi uomini annuiscono e si dirigono verso il garage dove sono parcheggiate le macchine della polizia.
La centrale prima sonnolenta, ora si trasforma in un via vai di poliziotti che seguono gli ordini appena ricevuti. Tutti tranne uno di loro che si avvicina dubbioso e leggermente disorientato da quel casino. Niccolò si sta voltando per andare ad avvisare il Commissario, soddisfatto dell'efficienza dei suoi colleghi, quando qualcuno picchietta sulla sua palla e girandosi vede Adriano. Allora alza gli occhi al cielo e incrocia le braccia davanti allo sguardo confuso del ragazzo di fronte a lui.
«Cos'è un 10-55?» domanda allora quest'ultimo, grattandosi la nuca imbarazzato. Niccolò per sottolineare la sua poca pazienza sbuffa e dà uno scappellotto al ragazzo.
«È un furto,» risponde spazientito, poi inarca un sopracciglio e «Ma l'hai studiato il capitolo quattordici del manuale?».
Adriano inarca un sopracciglio, «C'era un capitolo quattordici?» domanda con tono confuso. Niccolò allora scuote la testa e lo guarda con disappunto.
«Cosa devo fare con te? Devi studiare i codici della polizia!» lo rimprovera, «Altrimenti quando ci sarà un inseguimento e comunicheremo con i codici non capirai niente e ci rimarrai secco!».
«Non se me li segno su un'agendina!» - è la pronta risposta di Adriano che con sguardo convinto fissa Niccolò dritto negli occhi. Quest'ultimo si lascia sfuggire un sorrisino divertito davanti alla colossale idiozia che Adriano ha detto e lo guarda dall'alto in basso, per poi prenderlo per le spalle e spingerlo via.
«Invece di sparare cazzate, agente Cassio, pensa ad imparare a sparare con le pistole e sopratutto ad imparare questi maledetti codici!» gli grida dietro, vedendo Adriano schizzare via e raggiungere i colleghi.
Niccolò scuote la testa, divertito infondo, e «Su un'agendina, ma guarda un po' cosa mi tocca sentire!» ripete tra sé e sé, uscendo fuori dall'ufficio principale dove aveva riunito i suoi uomini.
A discapito di qualche mancanza teorica, aveva una squadra davvero coesa e sopratutto preparata. Avevano sventato tantissimi attacchi terroristici, risolto crimini e furti e ogni volta ne erano usciti interi - a parte qualcuno graffio o qualcosa di poco più grave. Anche le nuove reclute, arrivate il mese prima, come Adriano per esempio, erano uomini validi. Anche perché Niccolò era solito testare i nuovi arrivati e se non erano in grado di sopportare quella vita e quel lavoro, li rispediva direttamente a casa in persona.
Cammina per il corridoio in penombra e a rimbombare sono solo i tacchi degli stivali da lavoro che indossa. Mentre raggiunge l'ufficio del Commissario, passa davanti alla parete lucida dell'ingresso e si ferma un attimo, specchiandocisi dentro. Si sistema il colletto della divisa e guarda compiaciuto come questa gli calzi bene. Sfiora con le dita quelle medaglie spillate sul petto. Dietro ad ogni medaglia c'è la storia di una missione, più bella o più brutta di un'altra, ma che Niccolò ricorda nitidamente come se l'avesse vissuta qualche minuto prima. A ventisette anni poteva vantare una carriera incredibile e un titolo di Ispettore, secondo solo alla carica di Commissario alla quale aspirava un giorno o l'altro. Non perché avesse degli aiuti o delle spinte da parte di parenti in polizia, anzi, aveva dovuto lavorare sodo e guadagnarselo quel posto di lavoro. A dieci anni sapeva già cosa fare del proprio futuro - era un bambino maturato presto rispetto agli altri - e a sedici si era inscritto all'accademia ed ora, a ventisette, dopo tante missioni, tanti furti, rapine, omicidi, era fiero di poter dirigere quel dislocamento delle forze della polizia di Roma.
Sorride compiaciuto al suo riflesso nella parete a specchio e poi passa l'indice e il medio sulla cicatrice sotto l'occhio destro. Il sorriso si affievolisce e uno sguardo leggermente cupo si riflette nei suoi occhi.
I suoi colleghi dicevano che quella cicatrice, lunga due centimetri, lo faceva assomigliare ad un cattivo ragazzo, ma che gli donasse. A dire il vero Niccolò non la pensava proprio così, ma ormai era lì, cosa poteva farci? Preferiva ignorarla però. Non che fosse facile, dato che fosse in un punto del volto ben visibile e per questo spesso gli veniva chiesto come se la fosse fatta. Niccolò dal canto suo aveva imparato a recitare una frase preparata per mettere a tacere le domande, ovvero "Durante un inseguimento mi hanno aggredito con un coltello" e le persone sembravano soddisfatte di questa spiegazione, anzi, per alcuni era anche fin troppo poco eroica, ma a Niccolò non importava; bastava che tacessero e non facessero altre domande. La sirena della macchina della polizia del suo primo gruppo di uomini suona e scuote Niccolò che sobbalza e si schiarisce la gola, mettendo su uno sguardo serio e dirigendosi a passo spedito verso l'ufficio del Commissario. Arrivato danti alla porta tira i lembi della giacca della divisa e tossicchia, bussando con le nocche.
Ci vogliono pochi secondi prima che venga accolto da un «Avanti!» attutito dalla porta chiusa. Niccolò abbassa la maniglia ed apre delicatamente la porta, fermandosi sulla soglia. Davanti a lui c'è il Commissario, un uomo sulla cinquantina dal fisico magro, parecchie rughe d'espressione sul volto e con pochi capelli neri sparsi sul capo che non voleva decidersi a rasare. La barba grigia brizzolata, in alcune parti bianca, produceva un rumore leggermente fastidioso alle orecchie di Niccolò quando il Commissario la grattava. Come stava facendo adesso mentre alza lo sguardo sulla figura di Niccolò, impalato sulla soglia con lo sguardo serio. Il ragazzo allora decide di parlare per sovrastare quel rumore fastidioso.
«Commissario Gervasi stiamo partendo ora verso il liceo L. Fibonacci, per il furto della collana» lo avverte Niccolò con tono serio mentre l'uomo inforca gli occhiali da vista per guardarlo meglio ed annuire.
«Va bene Ispettore Moriconi, mi dia due minuti e la raggiungo alla macchina».
Niccolò annuisce e richiude la porta, avviandosi con passo celere verso il garage.




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