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Alice

Non mi è mai piaciuto mettermi in mostra.

Mai.

Un animo timido e riservato come il mio – con tutto il contorno di disagio che mi sono sempre trascinata dietro – non è mai andato d'accordo con l'espansività o l'essere al centro dell'attenzione.

Ho vissuto gli anni dell'adolescenza non nell'anonimato, perché non è assolutamente così, ma nella più totale tranquillità e riservatezza.

Non ho mai messo un vestito troppo corto o troppo scollato per mettermi in mostra, non ho mai voluto andare a ballare in discoteca come facevano le mie compagne di classe per magari farsi offrire un giro al bancone del bar e non ho mai passato pomeriggi in centro a fare avanti e indietro per la via tirandomi a lucido come se avessi dovuto partecipare a una cena di gala.

Ho sempre preferito restare nella mia comfort zone, indossando quei vestiti che mi hanno sempre fatta sentire a mio agio e me stessa e ho optato per i pomeriggi passati in biblioteca o in qualche bar con un tè caldo, infossata su qualche poltroncina e con il naso nei libri, coltivando quelle amicizie che poi mi sono portata avanti fino a oggi e che non cambierei per niente al mondo.

Quelle amiche, infatti, magari non timide e poco sociali come me, sono ancora oggi il mio punto di riferimento fisso, le persone a cui mi rivolgo quando qualcosa non va o quando devo condividere una qualche gioia o un traguardo raggiunto.

A loro poi si è aggiunta un'altra persona negli ultimi tempi, una persona con cui condivido più cose di quanto avessi mai potuto immaginare – dai concerti, ai gusti letterari alle esperienze di vita più o meno simili e altrettanto burrascose – e che si è sicuramente meritata lo stesso spazio che hanno le mie amiche storiche nella mia vita: Giulia.

Tra noi è stata subito intesa e affinità tanto che è molto raro che qualcosa ci trovi in disaccordo o ci faccia litigare visto che spesso e volentieri siamo sulla stessa linea d'onda. Anzi praticamente sempre. Sempre... tranne che in questo preciso istante in cui continua a insistere e a caricare le mie braccia di una quantità spropositata di vestiti di qualsiasi forma e colore per il concerto a cui andremo da qui a tre settimane.

«Mi spieghi perché dobbiamo tirarci a lucido, manco dovessimo andare a una serata di gala, per il concerto, sapendo, tanto più, che dovremo fare ore di coda al freddo e al gelo?», mi sto lamentando ormai da quando mi ha trascinata con l'inganno in questo maldetto negozio anziché portarmi a fare merenda al Colibrì come mi aveva promesso.

La mia amica sbuffa alzando gli occhi al cielo, «La pianti per un secondo di lamentarti? Sei peggio di una pentola di fagioli o di una bicicletta che cigola!», mi riprende continuando a muoversi tra gli scaffali e aggiungendo man mano altri vestiti alla pila che si è formata sulle mie braccia.

Mi imbroncio chiudendo la bocca fermandomi di punto in bianco tra le corsie del negozio tanto che lei a un certo punto, non sentendomi più alle sue spalle, si volta e alza di nuovo gli occhi al cielo, tornando sui suoi passi.

Si ferma di fronte a me incrociando le braccia e alzando un sopracciglio; resto ferma e in silenzio per qualche istante fino a quando Giulia emette un lamento, «Dai su, dimmi quello che vuoi dirmi», guarda l'orologio che ha al polso. «Hai trenta secondi a partire da adesso per lamentarti».

Inizio così il mio sproloquio su tutte le buone ragioni per le quali non ha senso comprare un vestito elegante per un concerto, un vestito elegante e fin troppo leggero per il freddo di febbraio e decisamente scomodo per le ore di coda che ci aspettano e che, tra l'altro, in generale a me i vestiti non piacciono e ne ho già fin troppi – acquisti forzati degli ultimi mesi o prestiti mai più restituiti alle mie coinquiline che mi hanno costretta a metterli per uscire con Edoardo – e che tutto questo tirarsi a lucido non solo sarà poco comodo, ma decisamente inutile visto che «dubito fortemente che Harry possa notarmi e innamorarsi di me se indosso un vestito al posto di un maglione e chiedermi di seguirlo per il resto del tour».

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