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La mia storia inizia con un treno e con una stazione.

Mi sono sempre piaciute le stazioni e i treni: lacrime e sorrisi, gioie e dolori si intrecciano inevitabilmente tra i binari.

C'è chi arriva e torna a casa con la prospettiva di un abbraccio e una cena calda ad attenderlo. C'è chi parte magari per non tornare più e davanti ha un nuovo percorso che spesso spaventa.

C'è chi torna dopo essere stato per un periodo lontano.

Io sto tornando, una telefonata nelle orecchie e una lacrima solitaria a solcarmi il volto.

Non voglio tornare a Milano.

Ho rivissuto per poche ore l'atmosfera di Torino, non me la ricordavo così magica e l'idea di tornare nel grigio capoluogo milanese mi spezza il cuore.

Sono a Milano per studi, come lo ero per Torino. Ma non è la stessa cosa, per niente.

Vedo la mia vita a Milano? Forse. Preferirei vedere la mia vita a Torino? Certo.

Nessuna certezza per il futuro per ora, solo un sogno nebuloso all'orizzonte.

Sono seduta al mio posto su un treno ad alta velocità, in poco tempo sarò a casa: una doccia calda è, per ora, la mia consolazione.

Piove. I treni e la pioggia di solito mi danno una sensazione romantica e dolce. Non oggi. Oggi la pioggia rispecchia il mio umore grigio come questo cielo senza sole.

La voce dell'altoparlante del treno mi informa che ci stiamo avvicinando a Milano Centrale. Mi alzo, recupero il mio zaino e mi dirigo verso l'uscita. Lancio uno sguardo al telefono per controllare l'ora.

«Chiunque ti stia facendo piangere, non ti merita» dice una voce all'improvviso.

Alzo lo sguardo confusa: un ragazzo dagli occhi verdi mi sta sorridendo gentile.

Interdetta, gli rispondo «Come scusa?».

«Problemi di cuore?», continua lui «Ti ho vista salire sul treno in lacrime, sembri sconvolta».

«Qualcosa del genere», borbotto sconsolata, ma di sicuro non quelli che intende lui. Il mio problema principale adesso è che ho rivissuto per un paio di giorni l'atmosfera della mia prima città universitaria e ho rivisto gli amici che ho conosciuto negli ultimi tre anni, che ora frequento molto meno perché mi sono trasferita in questa nuova città per proseguire gli studi. Ecco il perché delle mie lacrime, so che è paradossale e assurdo il fatto che io stia così, ma non posso farci niente: ogni volta che rimetto piede in quella città mi assale la nostalgia.

Distolgo lo sguardo imbarazzata: mi dispiace per questo ragazzo, ma non sono proprio dell'umore giusto per fare conversazione. Sento i suoi occhi addosso e mi sento a disagio, non mi piace essere studiata dalle persone: sono una persona timida e impacciata, due caratteristiche che non funzionano per niente con gli sguardi curiosi della gente.

Dopo quella che mi sembra un'eternità, finalmente arriviamo in stazione e scendo non appena si aprono le porte. Con la musica nelle orecchie e a passo spedito mi dirigo alla fermata della metro. Mi immergo nella folla: sono le sei del pomeriggio, la stazione è affollata come sempre il sabato sera. A fatica mi districo tra le persone che mi vengono incontro, prendo la metro e arrivo a casa.

Sono sola: le mie coinquiline sono tornate a casa per il weekend, ma non mi dà fastidio. Sono una persona abbastanza solitaria, apprezzo la compagnia ma a piccole dosi e, quindi, avere un'intera serata solo per me non mi crea particolari problemi, anzi.

Dopo una doccia calda e una tazza di tè e biscotti devo dire che sto meglio: la nostalgia che mi attanagliava lo stomaco è un po' passata, lasciandomi un senso di stanchezza e torpore. Decido così, dopo essermi asciugata i capelli di mettermi a letto, nonostante siano solo le nove e mezza, ripromettendomi di mettere la sveglia presto per sfruttare appieno la giornata di domani.

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