Edoardo
«Sistema quella luce, Edoardo», mi intima il mio capo per la centesima volta nel giro di mezz'ora. Siamo dentro alla basilica di Notre-Dame da diverse ore per la continuazione del servizio al Louvre: la chiesa è stata chiusa al pubblico per l'intero pomeriggio e tutto il giorno di domani per concludere la campagna per la primavera-estate del 2018. Tutto è perfetto, dalla scenografia alle luci, ma Max non è per niente convinto della disposizione di questa maledetta luce in alto a sinistra. Dopo aver cambiato l'angolatura, di nuovo, Max fa qualche scatto di prova. Lo sento borbottare qualcosa tra sé e sé sbuffando per diverse volte; non posso che alzare gli occhi al cielo, non riuscendo a capire quale sia il problema: tutto è sistemato alla perfezione e non dico tanto per dirlo dal momento che ho guardato tutti gli scatti e non c'è niente che non vada.
Esasperato mi azzardo a chiedergli cosa pensa che possa essere cambiato e lui mi guarda stralunato, «Tutto! Non c'è niente che funziona su questo set», sbotta abbassando la macchina fotografica e rivolgendomi uno sguardo severo, come se non riuscissi a capire l'evidenza.
Sostengo il suo sguardo, stringendomi nelle spalle, «Max, ho controllato le luci e le foto che hai scattato come prova: vanno benissimo, nessun punto è in ombra e anche la scenografia risalta», gli faccio notare avvicinandomi a lui. Sembra di essere in un'altra dimensione: le volte e le vetrate sembrano dipinte e tutto è nitido; non riesco davvero il perché di questo suo comportamento, sembra nervoso e io non l'ho mai visto nervoso. È sempre stato padrone di se stesso quando scatta delle fotografie per un qualsiasi servizio, trasudando competenza e professionalità, ma adesso sembra un'altra persona: sta camminando avanti e indietro per la navata laterale con la macchina fotografica in mano, inveendo contro il designer del set. Il poverino sta cercando di capire cosa Max voglia precisamente, ma con scarsi risultati, dal momento che quest'ultimo continua a borbottare frasi sconnesse e sembra essere intenzionato a rivoluzionare l'intero set. Il povero designer sbianca e cerca di spiegargli che non si può fare perché è la casa di moda di Dior ad aver dato indicazioni precise su alcuni particolari che sono necessari per i capi da fotografare. Lo sento inveire, di nuovo, per poi allontanarsi di scatto e uscire, sbattendo le porte della chiesa. Rivolgo uno sguardo dispiaciuto al ragazzo che sembra essere sull'orlo di una crisi di nervi e raggiungo il mio capo fuori. Le temperature si sono abbassate e qualche fiocco solitario ha incominciato a cadere: la piazza antistante la cattedrale è poco gremita, nonostante sia una delle più frequentate della città, e solamente qualche turista si aggira nei dintorni tirando fuori il cellulare per immortalare la facciata della chiesa. Scorgo Max appoggiato sul parapetto lungo la Senna mentre si stringe intirizzito nel cappotto : sta provando ad accendersi una sigaretta con fare nervoso per poi imprecare perché il vento continua a spegnergli la fiammella. «Cazzo, accendino del cazzo», sbraita e lo lancia nel bidone vicino a lui quando mi avvicino e gli porgo il mio che afferra con un gesto brusco. Lo guardo in attesa mentre finalmente riesce ad accendere la sigaretta e a prendere un lungo tiro sbuffando poi il fumo dalle labbra. Inizia a rilassarsi dopo qualche tiro e si appoggia meglio al parapetto lungo il fiume incrociando le braccia al petto.
«Pensavo non fumassi», mi dice picchiettando la sigaretta tra l'indice e il pollice per far cadere la cenere. Un refolo di vento si insinua sotto al mio cappotto e mi stringo istintivamente nelle spalle.
«E infatti è così, non fumo, ma ne ho sempre uno dietro perché ho notato che il novanta percento delle volte il tuo non funziona», gli dico semplicemente accennando un sorriso. Mi guarda sorpreso aggrottando appena le sopracciglia, «Beh, grazie», dice sincero rivolgendomi un'occhiata ammirata. «Sei sempre attento ai dettagli, vero? È una dote importantissima nel mondo della fotografia», afferma sicuro facendo un altro tiro.
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Incipit
RomanceAmava le storie di carta, quelle in cui inevitabilmente c'era il lieto fine. Ne era sopraffatta. Vi si immergeva vivendo la vita di mille personaggi, non avendo mai il coraggio di vivere la propria, troppo spaventata dal finale incerto. Era convita...