Alice
«Molto bene, questa era l'ultima domanda. Complimenti signorina, la sua preparazione è ottima», mi dice il professore sistemandosi gli occhiali sul naso. Gli sorrido sollevata e sento i muscoli della schiena sciogliersi mentre rilascio un sospiro. È andata, sono molto soddisfatta di questo esame che sembra essere durato un'eternità e nel momento in cui firmo per accettare il voto vedo con la coda dell'occhio che anche Giulia ha finito il suo esame con l'altro professore che oggi interrogava. Sorride anche lei e quando mi alzo per raggiungere Piero vedo che fa un cenno come per dire che l'esame è andato bene anche a lui.
È ormai tardo pomeriggio, abbiamo passato tutta la giornata in università perché eravamo diversi studenti a dover sostenere questo esame e io non vedo l'ora di andare a casa: un po' perché sono stanca e un po' perché, nonostante sia felice per il risultato dell'esame, non sono particolarmente dell'umore giusto per uscire a bere qualcosa con i miei amici, come è tradizione ogni volta che passiamo un esame; e il motivo è principalmente uno: non ho ancora sentito Edoardo.
Sono decisamente in pensiero, gli ho scritto un messaggio ieri sera, ma non ho ricevuto nessuna risposta da parte sua e la cosa mi fa più male di quanto pensassi.
Anzi, forse non dovrebbe stupirmi visto quello che sento... non lo so, non voglio risultare la classica quindicenne alla prima cotta che si strugge se il ragazzino di turno non si fa sentire, ma questo silenzio da parte sua è strano, molto strano vista la sua premura e puntualità nel chiedermi sempre come sto o come sia andata la mia giornata.
Non riesco a non darmi mentalmente della stupida mentre sto qui a lambiccarmi su questa cosa, quando non dovrei preoccuparmi più di tanto, dal momento che sicuramente c'è una buona spiegazione per questo suo improvviso silenzio e che io sono una sciocca a preoccuparmi.
Sono talmente immersa nei miei pensieri che non mi accorgo nemmeno che Giulia si è avvicinata finché Piero non mi posa una mano sulla spalla per attirare la mia attenzione. I loro sorrisi raggianti si affievoliscono appena quando i nostri occhi si incrociano e mi sto odiando per avere un'espressione non così allegra in viso.
Giulia corruga la fronte, «Che succede? È andato male l'esame?», chiede lanciando uno sguardo preoccupato a Piero che scuote prontamente la testa e Giulia alza gli occhi al cielo picchiandosi una mano in fronte.
«Ancora con questa storia?», mi dice con disappunto incitando poi me e Piero a uscire per evitare di disturbare gli ultimi studenti che devono ancora sostenere l'esame. È da ieri che continua a dirmi di non preoccuparmi, che di sicuro c'è una buona spiegazione, ma io non riesco a darle pienamente ascolto.
«Piero, per favore puoi dirle qualcosa?», chiede rivolgendosi al nostro amico, infilando poi il cappotto e sistemandosi la sciarpa intorno al collo.
Lui scuote la testa e scrolla le spalle come a dire che non può farci niente e poi accenna un sorriso nella mia direzione dandomi un buffetto con la spalla.
«Sarebbe più facile entrare in aula in questo momento e limonare il professore piuttosto che farle togliere da quella testolina bacata tutte quelle paranoie», dice sbuffando una risata. Mi prende poi sottobraccio e inizia a dirigersi verso l'uscita, mentre Giulia sta controllando qualcosa sul cellulare.
«Oh perfetto!», dice poi mentre scendiamo lo scalone principale. «Il Crazy Cat Café è aperto! Possiamo andare lì, che ne dite? Magari un po' di animaletti pelosi ti potranno distrarre dalle tue inutili paranoie!», dice Giulia riponendo il telefono in tasca.
Rilascio una risata tesa scuotendo la testa e uscendo finalmente dai cancelli dell'università: il freddo mi punge le guance e mi ghiaccia il naso e istintivamente nascondo il viso nella sciarpa stringendomi di più al braccio di Piero. Passiamo l'arcata e la piazza antistante all'università si rivela davanti ai nostri occhi: sulla città, nonostante sia ancora presto, è già calato il buio della sera e i lampioni rischiarano le vie, gremite dai milanesi appena usciti dall'ufficio.
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Incipit
RomanceAmava le storie di carta, quelle in cui inevitabilmente c'era il lieto fine. Ne era sopraffatta. Vi si immergeva vivendo la vita di mille personaggi, non avendo mai il coraggio di vivere la propria, troppo spaventata dal finale incerto. Era convita...