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Alice

La pallida luce del mattino filtra dalla finestra e batte sulle mie palpebre chiuse. Mugugno, infastidita dal fatto che mi abbia svegliata, e mi giro nel letto alla ricerca di Edoardo: cerco a tentoni la sua figura, ma l'unica cosa che incontrano i miei polpastrelli sono le lenzuola fredde.

Un lamento lascia le mie labbra e alzo quindi la testa aprendo gli occhi per vedere dove è, ma di lui nemmeno la traccia; mi metto seduta e mi stringo le lenzuola al petto sentendo freddo con la sola sua maglietta addosso. Mi sfrego gli occhi, sbadiglio e mi sistemo i capelli dietro alle orecchie spostandomi poi verso il comodino per guardare l'ora sul cellulare.

Nel farlo però, una fotografia, una mia fotografia, che presumibilmente era sul suo cuscino, scivola tra le lenzuola. Accendo la luce per vederla meglio: deve averla scattata stamattina sul presto perché le lenzuola sono le stesse e sul comodino ci sono gli orecchini che ho indossato ieri sera.

La giro e leggo una frase che Edoardo ha scarabocchiato a penna:

Sono in ufficio. Dormivi talmente bene che non ho avuto cuore di svegliarti. Scrivimi quando ti alzi. Ti amo, E.

Sorrido di fronte al suo messaggio e all'ennesima fotografia che mi ha scattato a tradimento, nonostante le mie innumerevoli lamentele di stanotte. Ieri, dopo che entrambi abbiamo trovato in qualche modo la forza di uscire da quella vasca e metterci a letto, Edoardo non ha fatto altro che rubarmi degli scatti: mentre chiacchieravamo infatti mi ha scattato un sacco fotografie, fino a quando non sono riuscita a prendere io la macchina fotografica, mettermi a cavalcioni di su lui e iniziare a scattare a mia volta.

«Aliiiii», mugugna. «Smettila!».

Il flash gli illumina il viso e lui si copre gli occhi con una mano e con l'altra cerca di prendere la macchina fotografica, ma io riesco a sfuggirgli.

«Non è così piacevole, eh?», gli dico mentre continuo a cliccare sul pulsante dello scatto.

Ride sotto di me, posando entrambe le mani sui miei fianchi, al di sotto della sua maglietta, l'unico indumento che ho addosso oltre alla biancheria.

«Non lo ammetterò mai perché poi non faresti altro che petulare su quanto io sia fastidioso e su quanto io debba smettere di fotografarti, cosa che ovviamente non farò mai», sorride serafico.

Mi imbroncio, «Non vale!».

«Invece sì», traccia pigramente con i pollici dei cerchi immaginari sulle mie anche. «Sono io il fotografo tra i due, non posso mettermi permettermi passi falsi, con te. Altrimenti chi ti sente più?», ridacchia quando lo colpisco sul petto.

«Tu sei il vero soggetto interessante tra i due... e poi, non vengo così bene», afferma sicuro e io alzo gli occhi al cielo.

Sbuffo e faccio una smorfia, «Oh, ma per favore! Non dire sciocchezze: il tuo viso è così armonioso e i tuoi occhi bucano l'obiettivo. Sono così belli, chiari e limpidi e questo aggeggio riesce a catturarne ogni singola sfumatura», dico sincera riportando l'obiettivo al viso, ma lui non risponde e quindi abbasso la macchina in grembo guardandolo.

È in silenzio, i suoi occhi sono fissi sul mio viso e ha un sorriso accennato; non dice nulla, mi guarda e basta studiando ogni singolo particolare del mio viso tanto che arrossisco di fronte all'intensità dei suoi occhi. Le sue iridi smeraldo si spostano velocemente su ogni singolo angolo del mio viso prima di tornare a concentrarsi sui miei, di occhi.

«Che c'è?».

Rimane in silenzio ancora un po' e poi si stringe nelle spalle, «Niente».

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