18.

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Alice

Sacré-Coeur.

Non ci posso credere e penso di avere un'espressione di pura gioia e stupore di fronte allo spettacolo che ho di fronte agli occhi. Sono senza fiato a causa della bellezza di queste vie di Parigi: le stradine che abbiamo percorso erano illuminate in maniera soffusa, con qualche decorazione natalizia ad addobbarle. Le calde luci dei locali invitavano i passanti a fermarsi e a entrare per trovare un po' di ristoro dal freddo pungente che avvolge la città, ma noi non ci siamo fermati, almeno non fino a ora.

«Ceniamo qui?», domando a Edoardo guardandolo negli occhi, che sembrano più chiari e luminosi del solito. Sono a dir poco elettrizzata: non avevo ancora visto questa zona della città, ma non vedevo l'ora di visitarla. La basilica si staglia nella notte, imponente e magnifica. Alcune persone stanno salendo le scale fino alla cima e vorrei essere tra di loro per avere Parigi ai miei piedi; di notte, poi, deve essere tutto più suggestivo. Magari dopo la cena gli chiederò se possiamo salire fino alla cima.

«Dopo di lei, signorina», mi invita galante il ragazzo al mio fianco, facendo un gesto della mano indicandomi la direzione da prendere. Ci dirigiamo verso un piccolo locale con due vetrate anticate, l'insegna blu recita Aux alentours du Cœur, nei dintorni del cuore.

Direi azzeccato!

Edoardo mi apre la porta, come ha già fatto con la macchina, e mi invita a entrare poggiandomi una mano alla base della schiena. È una sensazione piacevole e mi sento stranamente a mio agio. Credo che il ghiaccio si sia rotto quando ha incatenato i suoi occhi chiari nei miei. Durante il tragitto in macchina non sono riuscita nemmeno per un momento a distogliere lo sguardo, mi è quasi sembrato di essere in un'altra dimensione nella quale non c'era nulla se non lui.

La sala che mi si apre davanti è intima e raccolta: le luci sono soffuse, i tavolini sono sparsi qua e là e il tutto sembra studiato in modo tale che ognuno non crei disturbo all'altro. Una musica dolce si spande nell'aria sulle note prodotte da un pianoforte e un violino. Una ragazza bionda con una spruzzata di lentiggini sul naso ci si avvicina con un sorriso, «Bonsoir, vous avez réservé une table?».

«Oui», risponde gentile Edoardo.

«Quel nom?», gli chiede controllando i nominativi su una cartellina.

«Edoardo Stigliani». 

«Très bien, monsieur. Votre table est celle-là», ci informa indicandoci un tavolo all'angolo della sala. Noto con piacere che il tavolino è vicino alla vetrata dalla quale si può vedere la basilica, mi avvicino e tolgo il cappotto. Sento di nuovo quel formicolio alla base della nuca e quando mi volto trovo gli occhi di Edoardo incollati al mio viso e successivamente noto che percorre il mio corpo stringendosi il labbro inferiore tra i denti. Abbasso lo sguardo e mi sento stranamente lusingata da questo apprezzamento implicito. Mi vengono in mente le parole di Aurora di poco fa e trattengo un sorriso. Vorrei essere una mosca per vedere l'espressione di Edoardo quando ti vedrà.

Sento che si schiarisce la voce, «So di avertelo già detto, ma sei davvero bella stasera».

Arrossisco istintivamente e gli faccio un cenno con il capo, «Grazie, anche tu non sei niente male». Ed è vero, adesso che si è liberato del cappotto posso finalmente vedere come è vestito: totalmente di nero; dalla testa ai piedi. Un paio di jeans gli fasciano le lunghe gambe e una camicia leggera gli mette in risalto il fisico tonico e asciutto.Ci accomodiamo e la cameriera di prima ci porge i menù portando il cestino del pane e una bottiglia d'acqua.

Apro il mio e mi metto a studiare i piatti, sembra tutto buonissimo tanto che non riesco a decidermi. «Cosa prendi?», mi rivolgo al ragazzo di fronte a me che mi sta spiando da sopra il menù.

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