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Oggi sono passati esattamente due anni da quando ho postato il primo capitolo di questa storia.Due anni che sono iniziati nel migliore dei modi e che poi si sono trasformati in quelli più strani della vita di tutti, con una pandemia, diversi lockdown e una serie di eventi che spero ci siamo lasciati alle spalle.

Questo che posto ora è l'ultimo capitolo di "Incipit" e vi giuro che mai avrei pensato di arrivare fino a qui, di portare a termine una storia iniziata per caso dopo un incontro fortuito con un ragazzo fermo ai tornelli della metropolitana.

Sì, se ve lo state chiedendo, quella scena è tratta dalla realtà, ma poi tutto il resto ovviamente no (magari lo fosse!).

Spero però sempre di poter incontrare il mio Edoardo, come lo auguro a tutti voi. Perché tutti ci meritiamo qualcuno che ci faccia sentire speciali, che ci ami per quello che siamo, con drammi e paranoie varie, e ci arricchisca.

Vi voglio ringraziare per essere arrivati fin qui, spero che quest'ultimo capitolo vi possa piacere tanto quanto è piaciuto a me scriverlo.

Un abbraccio e a presto,

Ali. x

***

Alice

La mia storia finisce con una metro e una stazione.

Mi sono sempre piaciute le stazioni e le metro: una miriade di persone le attraversa, storie si scambiano, persone si incontrano.

Si stima che per la metropolitana di Milano passi almeno un milione di persone al giorno.

Un milione.

Quante sono un milione di persone? Non riesco nemmeno a immaginarlo figurarci a concepirlo.

Eppure, è così: un milione di persone passa per le stazioni, i binari, le banchine.

Un milione di vite, storie, teste che pensano miliardi di pensieri.

Persone che si incrociano, si scambiano cenni e sorrisi, che si ritrovano, che si salutano.

Persone che intrecciano i lori destini, che si legano, si annodano.

Tra questo milione di storie, io ho trovato la mia.

Una storia forse non fuori dall'ordinario o memorabile per gli annali di storia, ma abbastanza bella da essere vissuta.

E proprio come è iniziata, tra i binari, una stazione e un treno, continua a vivere tra le fermate di una metropolitana, alla stessa fermata dove ho incontrato Edoardo per la terza volta di fila in due giorni; questa volta però in direzione di uno dei capolinea della linea verde.

Ci sono otto fermate da Cadorna ad Assago, all'incirca una quindicina di minuti per percorrere la distanza tra i due punti in metropolitana, un viaggio breve per qualsiasi passeggero, ma non per me.

O almeno, non per me oggi.

Per me, il viaggio, che non è nemmeno ancora iniziato perché sono ancora ferma sulla banchina, sembra durare molto di più, ore, giorni, mesi.

Mesi passati, trascorsi, vissuti, goduti, tra risate, gioie, batticuori, pianti, lustrini, vestiti lunghi, calde coperte, tè, passeggiate, biscotti, cene, fiori, confessioni a cuore aperto, sentimenti sussurrati sulla pelle, a fior di labbra.

Mesi che si sono susseguiti, rincorsi e verso cui mi sembra di tornare indietro nell'esatto istante in cui i miei occhi si posano sull'ultima cosa che mi sarei aspettata di vedere incollata al muro della banchina opposta alla mia, a Cadorna: una foto, una mia foto, anzi la gigantografia di una mia foto.

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