3. Hannam-dong

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Il trillo del campanello mi restituì alla realtà: il fattorino era arrivato.

Presi il portafogli e mi diressi alla porta, ancora smarrita tra gli splendidi ricordi di quella giornata. Aprì e il mio cuore balzò all'indietro, perché davanti a me non c'era Ken, il fattorino di Panda Express, ma qualcun altro.

«Ciao.»

Taehyung sorrideva, timido come solo lui sapeva essere. Non risposi, le parole non volevano saperne di formarsi nella mia bocca. La sfrontatezza e la sicurezza di quella mattina erano scomparse, mi ero preparata a quel giorno per anni, di certo invece non mi aspettavo di vedere lui sull'uscio del mio nuovo appartamento, a quell'ora della sera.

«Ti ho disturbata?» domandò, il panico nei suoi occhi, «se ti ho disturbata vado via subito, scusami tanto.»

«NO! No, scusami tu, pensavo fosse...»

«Panda express! Ciao Bee. Però, hai fatto l'upgrade? Per un attimo ho pensato di aver sbagliato indirizzo.»

Ken guadagnò la porta a grandi passi e V, che indossava la mascherina, chinò la testa sulle scarpe. Il discreto fattorino non indugiò oltre, mi consegnò il cibo e andò via.

«Panda express?»

«Avanti, entra pure!»

Taehyung si tolse le scarpe mentre la porta si chiudeva alle sue spalle. I capelli, neri e lucidi, gli cadevano dolcemente sugli occhi, le guance illuminate da un sorriso discreto. Cercando di non guardarlo troppo come invece ero abituata a fare con la mia gallery, appoggiai la busta di Panda Express sul tavolo pulito. Mi domandai se avessi ordinato abbastanza cibo.

L'appartamento era splendido, perfetto e vuoto.

Il signor Bang aveva ritenuto necessaria la mia presenza entro e non oltre i due chilometri dalla band. Avevo umilmente e senza troppa vergogna spiegato che né in questa vita né in altre avrei trovato il denaro necessario a vivere ad Hannam, e gli avevo mostrato la mia tessera del bus. Prima che potessi iniziare a snocciolare a memoria gli orari delle corse pubbliche, lui mi aveva invitato a considerare l'appartamento nel complesso residenziale The Hill un benefit sufficiente e necessario a garantire la migliore delle mie performance. Si trattava di un trivani bello oltre ogni ragione, insensatamente grande per una persona sola che avrebbe passato la maggior parte del suo tempo lontana, ma nel complesso residenziale da capogiro era tra le accomodation più modeste e piccole. Le mie valige giacevano intatte ai piedi del divano; una di esse rigurgitava disordinatamente dei vestiti, sul tavolino di granito qualche snack, un caricabatterie, dei libri. Sperai che il mio protetto non dovesse usare il bagno, perché pareva ci fosse esplosa una bomba. Taehyung si guardò attorno con discrezione, probabilmente desideroso di non mettermi in imbarazzo, educato com'era.

«Ti ho portato un regalo» disse in fretta, imbastendo una frase nel suo inglese profondo e incerto, per poi sorridere compiaciuto e tornare a parlare in coreano.

«Immagino che il signor Bang ti abbia messo fretta, e che sarai così occupata con noi che a malapena metterai i tuoi vestiti nell'armadio, e che in ogni caso questo posto sembrerà un museo per la maggior parte del tempo, così ho pensato che questo potesse far sembrare le cose meno... asettiche.»

Nel mio intontimento, non emisi un suono che potesse anche solo sembrare una parola. Fortunatamente Kim Taehyung sembrava altrettanto imbarazzato. Da non so quale punto imprecisato della schiena tirò fuori un rettangolo avvolto nella carta da giornale.

Col battito del mio cuore che rimbombava nella stanza vuota, allungai le mani verso il regalo del mio protetto. Il mio protetto. Quelle parole continuavano a risuonare strane nella mia mente, come un fiore troppo bello per essere sbocciato.

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