32. Morituri te salutant

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Taehyung cantava da quindici minuti buoni, la schiena premuta contro la porta blindata.

All'inizio aveva stonato appena, la voce crepata dai singhiozzi, ma poi si era concentrato sulle parole, su quella melodia che Bee non si stancava mai di ascoltare; aveva chiuso gli occhi e finto di essere oltre quel muro, sul divano insieme a lei, ad accarezzarle i capelli mentre il sole tramontava da qualche parte, gettando la sua luce arancione su Hannam.

Stavano spesso così, lui seduto e lei con la testa sulla sua coscia, cantavano; Bee stringeva forte le palpebre e sognava di essere ad un concerto, di vederlo ballare e ammiccare alla telecamera, ma poi li riapriva perché lui era più vero che mai, quasi sempre in mutande, struccato e con in testa un nido di capelli neri, sul volto un sorriso che non sarebbe mai apparso in nessuna performance.

«You know that I can't... show you me... give you me...».

Alla fine, lei aprì.

Taehyung la guardò appena, il tempo necessario a ringraziare gli angeli di avergliela restituita, e si fiondò sul suo corpo per stringersela addosso e non lasciarla più. E non gl'importava che lei fosse rigida e fredda come un tronco, che lo detestasse o che volesse picchiarlo; avrebbe incassato schiaffi, calci e pugni, si sarebbe fatto mordere in faccia e tirare i capelli, avrebbe lasciato che lei gli facesse male, pregò che lei gli facesse male.

Ma Bee non fece nulla, niente di niente, e a Taehyung sembrò che il mondo perdesse improvvisamente consistenza, che scivolasse via come acqua, fili di vento tra le sue mani disperate.

«Ti prego... » esalò, chiudendosi la porta alle spalle. Si guardarono appena in tempo perché lui scorgesse un sussulto nelle sue iridi castane, un cedimento involontario, ma l'attimo dopo Bee stringeva gli occhi quasi a volerlo scacciare.

Fu allora che capì che la stava perdendo.

Le prese il volto tra le mani e iniziò a baciarla ovunque, sulle guance, sul naso, sulle palpebre serrate, agli angoli della bocca, ma lei si sforzava di andare lontano, in un posto in cui lui non sarebbe riuscito a raggiungerla. E mentre la baciava come fosse un bambola di pezza, premendo forte le sue labbra su quella pelle arroventata dall'emozione, Taehyung non avrebbe saputo dire di chi fossero le lacrime che stava leccando.

«Mi dispiace... così tanto...» gracchiò, e comprese che quella voce spezzata era proprio la sua, «volevo solo che tu sapessi... che tu capissi che noi esistiamo... tutti noi... che veniamo prima... prima di ogni altra cosa al mondo».

A quelle parole, lei riaprì gli occhi nei suoi. Erano tristi e spenti come un cielo senza stelle, non erano le iridi brillanti della donna che amava; c'era sul fondo qualcosa di torbido, erano inquinate dalla paura. Bee temeva che lui non l'amasse più, lo confessò con la voce arrochita dal pianto.

«Sei impazzita?» tuonò lui, cercandole la bocca, «io ti amo, signorina Lee. E se vorrai perdonarmi, dimenticare quello che ti ho fatto, te lo giuro sul mio cuore, ti amerò ancora più forte».

Taehyung sentì una risata montargli dentro; davvero lei provava un timore tanto insensato? La baciò tra le lacrime e finalmente lei ricambiò. Gli spinse la lingua in bocca come se volesse attraversarlo, raggiungere un posto da qualche parte nella sua testa e infilarcisi per sempre, come un chiodo ficcato nell'anima. Taehyung avrebbe voluto dirle che non c'era bisogno, che quel posto Bee lo aveva già trovato.

Iniziò a spogliarsi piano, a prenderle le mani ferme e a spingersele addosso, voleva che lei lo toccasse, che andassero subito avanti, come un treno in corsa. Il contratto era stato annullato, Yoshi Sakurada sarebbe stato annullato, avrebbero sistemato ogni cosa. Avrebbero fatto l'amore e poi lui l'avrebbe trascinata davanti a Jimin, si sarebbe scusato in ginocchio e sarebbero andati in tour. E più Taehyung la spogliava, più se ne convinceva. Sarebbero rimasti insieme fino a dopo l'arcobaleno.

Ma fecero l'amore in un modo diverso, in un modo che gli rovesciò lo stomaco e il cervello, lasciandolo senza fiato. Bee si era fatta aggressiva, l'aveva scopato con una violenza inaudita, e se quel contatto furioso lo aveva fatto esplodere prima di quanto volesse, subito dopo gli era calata una strana malinconia, il presentimento che Yoongi avesse ragione.

Ci dobbiamo preparare. Non è finita qui.

Bee si addormentò. Era bella come le cose perdute e ritrovate, ma serrava i denti di una rabbia distorta, i capelli celestini incollati ai tatuaggi. Gli diede la schiena, forse Yoongi si sbagliava, forse semplicemente aveva bisogno di riposare, prima di perdonarlo. Così Taehyung le si accoccolò contro la schiena e attese. Lui era bravo ad aspettare.

Finché accadde precisamente quello che il suo hyung aveva immaginato.

Scivolando fuori dalle lenzuola come un'ombra, Bee gli baciò la fronte e si rivestì, silenziosa come una notte senza vento. Abbandonò la casa in punta di piedi, lasciandolo solo nell'appartamento scuro.

Ma Taehyung non stava dormendo.

Appena lei fu fuori, balzò in piedi maledicendo il mondo e tutto il resto, invocando i suoi amati angeli e pensando seriamente di chiamare sua madre per chiedergli cosa diavolo gli stesse sfuggendo riguardo alle donne, perché accidenti non riuscisse a prevedere le mosse di Bee mentre Yoongi sapeva farlo.

Vedrai che andrà a parlargli. Fingi di dormire. Appena esce di casa, chiamami. Io e Jungkook saremo in macchina. Prendo l'auto di mio fratello, Bee non la riconoscerà mai. Aspetta cinque minuti, Namjoon verrà a prenderti.

Mentre s'infilava i pantaloni, inciampando ed imprecando come mai nessun fan avrebbe immaginato, Taehyung fece partire la telefonata a Yoongi.

«Ya, Taehyung».

«Come cazzo facevi a prevederlo?» sibilò, scivolando nella maglietta scura, i capelli spettinati come il nido di una poiana. Immaginò il sorriso sghembo di Yoongi e la risata nervosa di Jungkook, al suo fianco.

«Esperienza» tagliò corto SUGA, e improvvisamente i due si fecero silenziosi, «è uscita, ha preso la macchina. La seguiamo».

Taehyung interruppe la chiamata, mise male le scarpe schiacciando la parte posteriore col tallone e bevve un litro d'acqua. Si sentiva arso vivo, svuotato, a secco. Si sentiva un coglione, un ragazzino che non capisce le cose del mondo, si sentiva tagliato fuori.

Ma non c'era tempo per il risentimento. Lei stava andando da quell'uomo. Ne erano certi.

Spinse in bocca un avanzo di ramyeon trovato in frigo e finalmente il suo cellulare squillò.

«Jimin-ha?».

«Muoviti, siamo con la macchina del padre di Namjoon».

«Arrivo» e fece per chiudere, ma la voce di Jimin giunse come un'implorazione, densa di vergogna nella cornetta.

«Taehyung... tu, avevi ragione... mi dispiace».

Ma Taehyung non voleva avere ragione; voleva solo riavere l'amore che gli era stato portato via.

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