41. Il tuo palazzo sembra una città

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«Ciao, Taehyung. Come butta?».

La cosa più idiota che potessi dire. Raccolsi la voce, mi preparai a cacciar fuori altri saluti sfilacciati, niente di utile alla nostra causa. Ci osservai galleggiare nello specchietto retrovisore, due soldatini di pezza con la spada spuntata.

«Come butta?». Jimin mi fece il verso, inorridito. «Sul serio, Bee? Come butta? Beh, dalla finestra, immagino! Namjoon ha dormito con un occhio aperto per mesi, sembrava una dannatissima guardia giurata! Qualunque cosa ti venga in mente, fa in modo che non sia come butta».

Mi grattai la testa con più foga, sotto le unghie qualche grumo di sangue; fino alla fine mi sarei fatta lo scalpo da sola. Accovacciato sul sedile del guidatore, il mio aguzzino mi lanciava occhiate cariche di aspettativa; quell'anno toccava a me salvare il Natale.

«Jimin, toglimi quell'aggeggio dalla faccia» intimai, esasperata. «Per favore».

Ma Jimin mise il broncio, trafficò col piccolo registratore che ai miei occhi logorati somigliava tantissimo a un revolver, me lo spinse sul naso. «Questo» spiegò, scandendo ogni sillaba come quando parlava a sua nonna in videochiamata, tentando invano di spiegarle che no, non faceva il lattaio e nemmeno il postino, «serve a farti capire che devi fare meglio».

Al suono metallico del click seguì la mia voce rimasterizzata da Satana, scuse scialbe e trascinate, tentativi di approccio talmente imbarazzanti da farmi desiderare l'esilio. Jimin allargò le braccia al ritmo di Taehyung, ti trovo bene, ti sei fatto più alto; poi nascose il volto tra le mani, troppo piccole per contenere lo straripante disappunto che minacciava di vomitarmi addosso.

«Ascolta, Taehyung rientrerà fra due ore, è al corso di armocromia. Adesso saliamo, saluti i ragazzi, ritagliamo festoni a forma di cuore e facciamo la pace, intesi? Le parole giuste ti nasceranno dentro, quando i vostri sguardi si inconteranno». Sospirò, estasiato, indicandomi un punto imprecisato del petto, dove ad occhio e croce doveva trovarsi il mio polmone destro. «Dopotutto, è così che fa l'amore, non credi?».

Esitai, confusa dalle tenere labbra di Jimin che sbaciucchiavano l'aria viziata dell'abitacolo.

«Non lo so» balbettai, «fa così?».

Jimin strabuzzò gli occhi, allibito. «E io che ne so, lo sto chiedendo a te, posso solo supporre, cioè sono un idol, non un consulente matrimoniale, e nel caso non te ne fossi accorta la mia vita sentimentale fa davvero schifo ma, ehi, voi due vi amate» concluse, giungendo i palmi, «sarà sufficiente a sistemare le cose».

Avrei voluto dirgli che no, l'amore non basta, che servono un mucchio di altri miracoli, impegno, fiducia e poi tenersi sempre, anche quando fa male, che senza questa roba restano solo mattoni slegati in un mondo che trema di continuo, senza uno straccio di preavviso; che il nostro era un azzardo, perché troppe volte il dolore mi aveva asciugato la bocca, silenziato la voce, e tutta la verità che implorava di vedere la luce era rimasta a marcirmi in pancia, mentre la gente che amavo soffriva; mentre Taehyung soffriva. Avrei dovuto scusarmi e raccontargli ogni cosa, la fuga il processo e tutto il resto, ma a malapena riuscivo a pronunciare il suo nome senza perdere lucidità.

«Bee». Jimin cercò le mie mani, le strinse come se non avesse altro a cui aggrapparsi, entrambi in caduta libera, spaventati eppure coraggiosi, pronti a scivolare nella tana del Bianconiglio - sperando però di non rimetterci la testa. «Io credo in te, dico davvero, ma è importante che lo faccia anche tu».

Scivolammo fuori dall'auto. Nel cielo di Hannam, il chiarore della luna illuminava la notte. Il quartiere non era cambiato e gli fui grata per aver resistito, aspettato, per essermi rimasto fedele. Non l'avrei propriamente definita una profezia, ma mi diede forza; forse anche Taehyung era rimasto uguale a se stesso, a quel ragazzo del video che tanto mi amava. Intabarrato nella neve, il complesso residenziale The Hills si ergeva solido e luminoso, agghindato per le feste. Il cemento si gettava ruggendo nel prato imbiancato, il palazzo così alto e potente che trovai difficile dire se salisse verso l'alto o si precipitasse verso il basso. Sembrava tutto così magico, così promettente che sentì di trovarmi, ancora una volta, al cospetto del mio destino. E no, non avrei mai dimenticato quella notte, le finestre del settimo piano come falò nelle tenebre, perché nella purezza glaciale dell'inverno più profondo io ci stavo provando; comunque andasse io ero lì, al dinanzi alle mie scelte, alla gente che amavo; a non fuggire, a restare. Ad amare Taehyung.

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