27. Something in return

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Sognai la nonna.

Volteggiava nel frutteto con il candido passo da bambina che la vecchiaia le aveva donato. Era più bella di come la ricordavo, liscia e rosea come una piccola mela, così compresi che si trattava di un sogno. Me ne beai, perché lei mi mancava moltissimo, e tentai di dormire più forte, per non lasciarla andare. Anche il nostro frutteto era diverso, più rigoglioso e profumato; anche lui, come la nonna, non esisteva che nei miei ricordi. E quando lei si aggravò, un autunno di tanto tempo prima, provai a prendermi cura del suo mondo incantato, ma il giardino implorò di morire assieme a lei. Quell'anno lontano, la nonna si spense con lo sfiorire dei ciliegi.

Fluttuammo insieme nel verde del prato, ammantate da una luce innaturale, densa e biancastra. La nonna mi danzava davanti, la brezza a lambirle le vesti leggere. Parlammo senza muovere la bocca, i nostri spiriti schiusi come farfalle appena nate.

«Sei venuta, alla fine».

La dolcezza della sua voce riverberò nel mio cuore.

«Scusa se per qualche tempo ti ho dimenticata. Sono stata distratta».

«Sei stata felice, bambina. E grazie al cielo, alle persone felici non servono i morti».

Il suo volto sfuggiva al mio sguardo, ma io sentì chiaramente il suo sorriso accarezzarmi la pelle.

«La nonna ti ama, piccola pesca, ma non ti vuole qui. Il tuo posto è tra i vivi».

Mi strinsi alla sua sottana e la stoffa scivolò dalle mie mani come acqua corrente.

«A volte ho paura dei vivi. Qui, invece, non c'è niente che possa ferirmi».

«Bambina mia» continuò lei, improvvisamente grave, «ne sei proprio sicura?».

In un ruggito di vento, il cielo si ammantò di nubi tetre come lapidi e i colori attorno a noi si spensero, inceneriti da qualcosa di mostruoso, un'entità familiare e oscura, qualcosa di cui mi sarei dovuta liberare tanto tempo prima. In mezzo alla tempesta furiosa, tra foglie ormai nere come la pece, la nonna puntò i suoi occhi calmi su quello che era stato il nostro albero preferito.

«Qualsiasi cosa può ferirti, se glielo concedi. Persino i sogni, persino gli incubi».

Ricordai le zanzare e l'estate afosa in cui il melo morì, avvelenato da se stesso, da un frutto marcio celato dalle fronde. Immobile e placida nel vento sferzante, la nonna indicò qualcosa tra i rami agitati.

«Bambina mia, fai molta attenzione alle cose guaste».

Davanti ai nostri occhi impotenti l'albero si tinse di nero, e il male colò dalla mela più bella di tutte, qualcosa di scuro e vischioso, il sangue rappreso di un dolore taciuto. E finalmente compresi quel che andava compreso.

«Nonna!» chiamai, «è lui... lui è qui!», ma nel turbinio dei fiori senza vita la nonna svanì, lasciandomi sola con l'eco del suo amore.

«Bambina mia» supplicò, «abbi cura di te».

E prima che l'incubo finisse, riuscì a sentirlo. Nascosto tra le fronde del mio splendido giardino, il cuore velenoso di Yoshi pulsava letale.

*

Spalancai gli occhi nella penombra, una lama di luna tagliava in due il viso di Taehyung. Mi affrettai a tirare le tende per dissipare la luce, ma quel presentimento oscuro sussurrò al mio orecchio che dovevo sbrigarmi. E allora risolvile, manager. E fallo in fretta. Yoongi aveva ragione. Subito dopo il fansign, sarei tornata in Giappone per concludere per sempre ciò che avevo iniziato.

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