31. Quando sarà il momento

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L'uomo si lisciò la cravatta.

La telefonata non lo aveva stupito affatto; al contrario, gli aveva lasciato in gola un certo languore, un pizzicore tra le gambe che tinse d'ombra il suo volto tagliente. Seduto allo skybar del Grand Hyatt Seoul Hotel, Yoshi Sakurada ordinò un Martini Dry. La cameriera che lo aveva servito si era mostrata interessata alla sua figura statuaria, ai suoi occhi graffianti, infossati in un volto finemente cesellato.

«Signore, yen o won?».

Haru, il suo assistente, era fastidioso - terribilmente fastidioso. Yoshi si domandò per quale motivo lo avesse assunto, per quale ragione quel ragazzo tanto ambizioso quanto sciocco continuasse a ripetere quella domanda come un cazzo di disco rotto. Yen o won, yen o won, come se accettare le condizioni di quei sette ragazzetti e dei loro spocchiosi manager fosse un'opzione.

All'ennesima interrogazione, Yoshi finalmente si voltò. Mosse l'aria con la flemma di chi disprezza l'ordine delle cose, di chi non teme niente e ama far tremare il mondo intero. E Haru sussultò. Non gli piaceva che il capo lo guardasse, detestava quelle iridi ferine e insoddisfatte, il modo in cui Yoshi Sakurada piegava il mondo al suo volere. La calusola di cancellazione era prevista e i rappresentanti di Hybe erano pronti a pagare; cosa diavolo aveva da opporsi ad ogni costo, da voler vincere sempre? Deglutì e bevve un sorso d'acqua proprio mentre la cameriera, improvvisamente svampita e docile, depositava il Martini davanti al capo.

«Molte grazie» recitò Yoshi, impeccabile. La ragazza arrossì e corse via, il vassoio di metallo stretto al petto come una scolaretta. Yoshi bevve un sorso e parlò, calmo come il mare dopo la tempesta.

«Yen o won» ripetè, sibillino, «yen o won».

Sapeva che avrebbero chiamato dal momento esatto in cui lei si era palesata al fianco di quel ragazzo, presumibilmente il leader del gruppo, quel tale Namjoon.

Lei.

Quella insignificante guastafeste, quella buona a nulla col suo sangue sporco, la sua etnia incomprensibile, i suoi sogni da teenager. Manager di una band k-pop. Yoshi scoppiò a ridere al ricordo di quella sera, quando lei gli aveva confessato il suo più intimo desiderio.

«Il mondo è dei folli, mio giovane Haru» commentò allora, ripensando a Bee, al suo blazer tagliato dritto, i capelli tirati con cura, le scarpe lucidate e incerate per l'incontro. Certo non si sarebbe mai aspettato di incontrarla ancora, tantomeno in quelle circostanze, ma quella piccola strega aveva il potere di rovinargli la vita sfidando il tempo e lo spazio.

A stento aveva trattenuto una risata di scherno; e quel Namjoon, lo aveva guardato in un modo inequivocabile - quel ragazzo era sveglio, che avesse intuito la loro conoscenza?

«Secondo te se la scopa?».

A quella domanda improvvisa e inopportuna, Haru sobbalzò. Se non avesse conosciuto Yoshi, si sarebbe sturato le orecchie.

«Signore?» azzardò, fingendosi sordo, ma Yoshi scacciò via quelle parole con la mano curata.

«Non essere idiota, Haru. Dimmi la verità, secondo te quel Namjoon si scopa il suo manager?».

Haru arrossì, scosse la testa. Non gli era parso che fossero intimi in quel senso, ma in un modo che Yoshi non avrebbe mai potuto immaginare; erano amici come invece loro due non sarebbero mai stati.

«Signore, non credo» esalò il ragazzo, e facendosi coraggio aggiunse «però per qualche motivo hanno ritirato la collaborazione, e ora dobbiamo scegliere in che valuta farci pagare la penale».

Alla molle determinazione del suo assistente, Yoshi stirò le labbra in un sorriso che fece vacillare ancora una volta il ligio sottoposto. Certo che avevano ritirato la collaborazione, era ovvio che lo avrebbero fatto. Sarebbe stato ridicolo, addirittura patetico se quella debole ragazzetta avesse ceduto senza battere ciglio.

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