42. Quando il cielo si fa blu

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«Hush, my dear

it's been a difficult year.»



Adesso lo so, io ti aspetto da sempre.

Ho apprecchiato la tavola come piace a te, coi sottopiatti riservati alle grandi occasioni, i bicchieri colorati che hai comprato da Gwanju. Li abbiamo tenuti, come tutte le cose che hai portato in questa casa; le forchette coi nostri nomi incisi, gli asciugamani morbidi scovati alla fiera del bucato. Sei ovunque, qua dentro; sei nei cassetti e tra le stoviglie, Namjoon conserva le tue ciabatte nella carta di giornale.

Ci scopri precisi, coordinati, veloci. Ci muoviamo armonici e collaudati, siamo una piccola tribù. Yoongi stappa il vino, Hoseok ripiega i fazzoletti. Vogliamo conquistarti, siamo diventati grandi e del tuo aiuto non abbiamo più bisogno, ma ti vogliamo con noi.

Jimin accende il caminetto, se resti ti terremo al caldo, bruceremo legno costoso, sarà sempre Natale. Ti prendiamo il cappotto, mettiamo su qualche disco, siamo patetici e accoglienti come locandieri. L'acqua bolle, la vaporirera sbuffa; Jin sta cucinando, sorride ai mestoli e ai fornelli, sarai così sazia da non poterti alzare.

Tu ci osservi imbarazzata, ti fai minuscola sullo sgabello; pensi di non meritare le nostre attenzioni, la dolce ospitalità che ti offriamo. Ti aspettavi fischi e pianti ma invece eccoci qui, a implorarti di accettare il nostro amore. Non è granché, siamo sempre incasinati come un bordello thailandese e ci sono giorni in cui facciamo davvero schifo, ma è tutto quello che abbiamo.

Jungkook ti prende il cappello, cerimonioso e inverosimile coi suoi capelli azzurri, ti ruba un sorriso. Io, invece, cosa posso prenderti? Mi guardi a malapena, hai paura che mi sfaldi, che dietro a una canzone mormorata a denti stretti io sia secco e morto come un albero bruciato.

Cerchi qualcosa da fare, non sei mai stata ospite in questa casa, aiutarci è naturale come respirare. Ti avvicini al lavabo ma Jin ti scaccia con la mano, stai comoda, è pronto tra un minuto; defraudata del tuo ruolo materno torni a sederti.

Ho un minuto per versarti il vino.

Mi avvicino con troppa veemenza e la bottiglia cozza contro il bicchiere, mi sento un vero imbecille, uno che non si è mai ripreso per davvero e mi va bene, cazzo, mi sta bene perché quello che siamo lo sappiamo solo noi.

Tu mi sfuggi, mi ringrazi sottovoce. Sei bella, Bee, lo pensano tutti ma solo io posso dirtelo, e adesso mi chiedo se ti manca il modo in cui ti sussurro, in cui ti racconto i segreti del mio cuore. Puoi guardarmi, dico sul serio, sono sempre io, sono l'idol che hai amato e l'uomo che ha spintonato otto assistenti di volo per raggiungere la tua poltrona. E adesso che mi guardo attorno scopro che tutto questo - le stoviglie i premi le canzoni - io l'ho costruito per te.

Ceniamo. A tavola tutti ti parlano ma nessuno esagera, l'onore è sempre mio. Tu ci osservi, stai cercando di ricordare se siamo sempre stati così composti, noi che di solito poggiamo i gomiti sul tavolo e schizziamo sugo persino sul soffitto. Ci domandi cose di noi, il tuo coreano è rimasto inattaccabile, sicuro, ti trema appena la voce. Persino Yoongi si è calmato, non può niente contro la grazia miracolosa che spargi su di noi. Gli piaci, sei bella davvero, senza l'ingombro del cappotto sei femminile e spigolosa nel tuo maglioncino a collo alto, ti fascia la schiena e fianchi sottili. Quando sorridi si aprono i cieli, sei la nostra ospite d'eccezione, la normalità che ci manca, la vita vera che ci tiene a galla.

«Stai studiando armocromia?»

Mi parli alla fine, mi tieni per ultimo come un vagone in coda, ma io lo so che sei qui per me. Certo è stato Jimin a trascinarti a casa nostra, ma in realtà tu sei venuta a cercarmi perché ancora c'ingombriamo i pensieri, perché come me hai avuto paura di non rivederci mai più.

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