38. Before you go

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Furono giorni dolorosi.

Scuri e densi come catrame, un incubo lento e vischioso.
Bardati da un silenzio pericoloso, i ragazzi contavano i danni: quell'amore reciso aveva travolto ogni cosa.
Di giorno tenevano botta, il sole li faceva sentire dei superstiti, dei miracolati. Ma di notte le ore si facevano affilate, le stelle come coltelli; era un tramestio di singhiozzi aguzzi, lame di lacrime.

Quanto a Taehyung, fu come un castello di sabbia sotto il temporale.

Non restava mai solo. A turno i ragazzi, coi loro cuori infranti, facevano la guardia a quel cuore infranto. Ci pensò quella frattura a tenere tutto assieme. Ogni premura gravitava attorno alla sua mano spezzata, alle sue ossa rotte. Nessuno parlò mai di lei. Rimase impressa nei loro silenzi come un sottinteso, come il ricordo di una vita trapassata, mai vissuta, solo sognata.

Il signor Bang non disse una parola. Reintegrò Sejin, concesse loro tutto il tempo di cui avevano bisogno. Per la mano, per la fisioterapia di Taehyung.
Ma, tre settimane dopo, fu chiaro a tutti che a Taehyung, quel tempo, non sarebbe mai bastato.

«Ti devi alzare».

Quella mattina Yoongi si era fatto rude, urgente. Nel vederlo appoggiato alla porta con tutti gli spigoli del suo corpo ferino, Hoseok era rimasto interdetto. Taehyung, invece, non sembrava sorpreso. Aprì le palpebre nel grigiore di Hannam, che ore sono, sono le sette, alzati, maledizione!

E Taehyung si alzò. Era spento e stropicciato, come una foto perduta durante un trasloco e poi ritrovata.

«Fai colazione» ordinò Yoongi, le braccia incrociate al petto, «ma prima fatti una doccia. Ti ho messo i vestiti in bagno».

Taehyung fece un cenno, si grattò il gomito, scomparve. Al getto dell'acqua che scorreva dal soffione, Hoseok sbottò. Si scagliò contro il suo hyung, impassibile e grave.

«Si può sapere cosa diavolo ti prende? Non vedi come sta?» ruggì, scuotendo Yoongi per il colletto, ma questi gli soffiò contro, esasperato.

«Oh, certamente starà meglio, con voi che continuate a reggergli il culo come se dovesse cadergli da un momento all'altro!».

Sconvolto e confuso, Hoseok si mangiò il fiato, mollò la presa.

«Se continuiamo a trattarlo come un malato lo diventerà. Porca miseria, Hoseok, credi che Bee volesse questo? C'è un limite a tutto. Anche al dolore. Dopo ci tocca tornare a vivere. Spero di essere stato chiaro».

Hoseok trasalì. Erano tre settimane che nessuno pronunciava quel nome. Bee. Signorina Lee. Dove ti sei cacciata, manager? Abbandonando Hoseok a quel suono lontano, SUGA si avviò verso la cucina.

«E fai colazione anche tu, per la miseria! In questa casa non esistono più regole!».

*

Col passare dei giorni, le cose si fecero più strane.

Dentro quella buccia lucida e perfetta, Taehyung marciva.
Chiunque avesse preferito non guardare troppo a fondo avrebbe giurato che stava bene. Meglio di prima, addirittura. Meglio che mai. Ma i suoi compagni non erano chiunque, e l'apparente imperturbabilità di Taehyung divenne presto l'effetto collaterale più pericoloso di sempre. Impeccabile e raggiante in pubblico, una poltiglia a luci spente. Lontano dai riflettori, l'incantesimo che lo teneva in piedi svaniva, rendendolo vuoto e inerme come un guanto dimenticato. Un, due, tre, stella! gridava il mondo, e lui sorrideva. Ma ad ogni mezzanotte, Taehyung tornava ad essere una zucca.

Due mesi dopo, Hoseok realizzò cos'era, delle performance di Taehyung, a mettergli i brividi.
Tecnicamente era tutto perfetto, ma lui non c'era. Sorrideva come un morto scivolato fuori dal feretro. E in quelle mosse maniacali, esasperate, aleggiava un dolore troppo fitto, una foresta nella quale il suo amico si era perduto; o peggio, nascosto.

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