Capitolo 31 - LOUIS

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Appena caccio Harry di casa, mi metto le mani nei capelli, teso come una corda di violino. Il sangue ribolle nelle mie vene, le voci dei miei demoni mi sussurrano all'orecchio che me lo meritavo, che non potevo essere felice, che Harry non sarebbe mai stato solo mio. Stringo i pugni e spingo le mani contro le tempie, sperando di poter schiacciare il rumore, farlo tacere, zittirlo.

Nello stringere le mie mani scivolano in avanti, delle ciocche di capelli mi ricadono sugli occhi, ma non mi interessa. La rabbia e l'irritazione mi pervadono il corpo, si insinuano nelle mie viscere, mi infestano l'anima. Fisso il letto come se fosse un cadavere, cerco di disfare le lenzuola che profumavano ancora di lui, cerco di strappare con le unghie la sua traccia, le tiro, le smuovo, le spingo via da me, cerco di togliermele di dosso, togliermi di dosso lui.

Lancio dall'altra parte della stanza il piumone, scacciandolo come se fosse un cane con la rabbia, mentre lacrime rigano le mie guance e un'espressione terrificata alberga sul mio volto.

Sono terrorizzato, sono perso, non so cosa fare, dove andare. La mia nave arranca nel buio più completo mentre il faro è fuori uso. La mia mente si riempie di frasi sussurrate e di consapevolezze negative tanto da farla scoppiare e risultarmi vuota come il letto ora, spogliato delle sue lenzuola e qualsiasi elemento, ad eccezione del cuscino, ancora avvolto nella federa.

Mi lascio cadere sul materasso e lo afferro tremante. Avvolgo le mie braccia attorno al cuscino e lo stringo forte, inspirando l'odore di Harry, il segno che ha lasciato sul mio letto e lo squarcio che ha aperto nel mio cuore.

La rabbia e la tensione si spezzano, inghiottite dalla delusione e dal dolore. Mi ripeto nella testa che no, Harry non lo farebbe mai, il mio Harry non lo avrebbe mai fatto. Ma il messaggio, come se fosse una cosa di tutti i giorni, Nick salvato con un cuore rosa, Nick stesso che era geloso, Harry che balbettava, cercando una scusa su cui arrampicarsi, il fatto che mi ignorasse sempre durante il pomeriggio. Certo, dovevo studiare, ma se in quel lasso di tempo stesse con lui? Se parlasse con lui, se lo cercasse mentre io non potevo essere lì per lui? Non avevo le certezze, ma non avevo ottenuto neanche delle confutazioni.

Mi ha tradito.

La consapevolezza mi colpisce in pieno, come uno schiaffo. Affondo il naso nel cuscino e, respirando il suo profumo, contamino l'ultimo elemento che mi è rimasto di lui con le mie lacrime.

A scuola Harry non mi cerca e non voglio vederlo. Altra prova che avessi ragione. Non voglio parlare con nessuno, ma devo fare un'interrogazione di storia. La prof è contenta, mi dà nove. Stan mi dà una pacca sulla spalla, è felice per me.

Bebe e Maya sono sempre inseparabili, gioiose mentre prendiamo il caffè, ridacchianti quando superiamo i primini. Mi impongo di esserlo anche io, ma mi sento come un automa: un involucro di carne a cui hanno strappato i sentimenti, come una zucca di Halloween intagliata, svuotata di tutta la polpa.

Pessimo paragone per un filosofo, ma ottima rappresentazione fisica penso, sollevando appena un angolo della bocca.

Il martedì le classi quarte A e D dell'indirizzo linguistico partono per Parigi, lasciando un grosso vuoto nel mio cuore e, sorprendentemente, anche in Bebe.

«Mi mancheranno quei pazzi della D» ammette, mentre si appoggia al calorifero del corridoio accanto alle macchinette, mescolando il suo caffè.

«Già, anche a me» risponde Maya, prendendo un sorso del suo cappuccino, per poi sorridere maliziosa «Ma credo che a te interessi una in particolare».

«A me? No» sbuffa Bebe con un movimento della mano, come se volesse scacciare l'idea come una mosca fastidiosa.

«E dai, è un mese che ti mangi con gli occhi El» la esorta Maya, scuotendola per un braccio.

Standing in the place of you and meDove le storie prendono vita. Scoprilo ora