Five Years (prologo) - II

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Rebecca guardò fuori dal finestrino, osservando le macchine e i portoni e la gente sfilare fuori, cercando i segnali dell'emergenza che Conte aveva annunciato.

Niente. Per strada c'erano le poche persone che si aspettava di vedere alle dieci e mezza di sera; le luci dietro le finestre erano accese come al solito, le automobili facevano avanti e indietro come al solito. In mezzo al cielo sgombro di nubi, la luna piena stava adagiata come una moneta splendente su un cuscino di velluto. Rebecca pensò a una strofa di Loom of the Land, quella che Nick Cave cantava in un modo che le faceva spuntare ogni volta la pelle d'oca sulle braccia:

I told her that the moon
Was a magical thing
It shone gold in the winter
And silver in spring

Se non avesse appena ascoltato il discorso del Presidente del Consiglio, le sarebbe stato impossibile indovinare che qualcosa fosse diverso dall'ordinario. Eppure, il Coronavirus era già lì fuori. Silenzioso, insidioso, mortale. Poteva nascondersi ovunque e colpire in qualsiasi momento.

Potrebbe avercelo anche mamma, pensò all'improvviso. Da quando c'è stato il primo contagio a Roma, è sempre andata al lavoro. Chissà quante persone ha incontrato...

Rebecca cacciò via quel sospetto e guardò in direzione di sua madre, che sembrava essersi tranquillizzata ora che poteva vederla lì, accanto a sé. Guidava con scioltezza e senza pigiare troppo sull'acceleratore, anche se la sua espressione tradiva l'ansia per la situazione nella quale si trovavano.

La mamma era sempre stata apprensiva, anche per eventi o situazioni la cui magnitudine non poteva essere lontanamente paragonata a una pandemia. Le rughe sottili disegnate sulla fronte e intorno agli occhi da anni di preoccupazioni stavano lì a testimoniare la sua infaticabile propensione a farsi coinvolgere appassionatamente da tutto: i rifugiati al telegiornale, il senzatetto che chiedeva l'elemosina all'angolo della strada, i colloqui con i professori riguardanti la sua media scolastica, perfino i gatti che non riuscivano a scendere dagli alberi. Se sua madre era al computer o picchiettava sullo smartphone, si poteva star certi che fosse su Facebook a cliccare articoli sulla fame nel mondo o la corruzione della classe politica, o a condividere uno dei moltissimi post che rilanciava quotidianamente ai suoi contatti, composti da un'immagine a effetto e da una didascalia tipo CONDIVIDI SE SEI INDIGNATO (variante: CONDIVIDI SE HAI UN CUORE).

Rebecca non era su Facebook (Dio ce ne scampi), ma aveva un'idea chiara di quelle attività social grazie ai controlli periodici che faceva sul laptop della mamma, per evitare che si ficcasse in qualche giro strano e verificare che non si mettesse a condividere fake news o a litigare per ore con i no-vax. Era sua convinzione che ogni adolescente dovesse monitorare l'attività online dei propri genitori, visto l'uso incauto che gli adulti spesso facevano della tecnologia.

"Facciamo un salto al Todis, prima di andare a casa," disse la mamma, mettendo la freccia e svoltando su Viale Marco Polo. "Volevo provare a fare un po' di scorte, prima che cominci la quarantena. Chissà se riusciamo a trovare l'Amuchina. Per fortuna sono riuscita a prendere in prestito qualche mascherina in laboratorio."

Sua madre le lanciò uno sguardo furbo per farle intendere che quel prestito non era stato davvero autorizzato. Rebecca pensò che, a parte i capelli castani molto più corti di un tempo e quelli rughette sottili, dovute all'apprensione per i problemi della sua famiglia e del pianeta intero, la mamma assomigliava ancora molto alla giovane donna che compariva nelle foto di famiglia incorniciate in soggiorno — quelle con suo fratello sul passeggino e Rebecca ancora inesistente, salvo che nell'immaginazione dei genitori.

"Ho letto che maschere e disinfettanti stanno sparendo dappertutto," affermò Rebecca, facendo scorrere il dito sullo schermo del telefono e leggendo i titoli di un paio di siti di news. Bella fortuna che sua madre lavorasse in un laboratorio di analisi!

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