Let's Dance

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Let's dance
To the song they're playing on the radio
Let's sway
While colour lights up your face

*

Rebecca si trascinò in soggiorno di prima mattina tutta scarmigliata, stropicciandosi gli occhi e desiderando con intensità una tazza di caffè.

Dopo aver parlato con Savino, era andata a letto tardi ed era rimasta sveglia fino alle due passate, ancora preda dell'emozione e della contentezza. I suoi pensieri galoppavano instancabili, come un treno in corsa.

Aveva provato a leggere, aveva ascoltato un paio di canzoni con le cuffie, si era alzata e rimessa sotto le coperte quattro volte, ma l'agitazione non era passata. Alla fine, esausta e incapace di prendere sonno, si era adagiata sulla pancia, aveva sollevato l'orlo della magliettona degli Stones e aveva cercato il piacere con le dita; distrattamente, prima, poi con sempre maggiore determinazione.

In pochi minuti, l'onda che aspettava si era rovesciata dentro di lei, l'aveva sollevata e fatta ricadere come una naufraga in balia delle correnti, mentre la tensione si scioglieva in una silenziosa esplosione di fulmini e miele e in un caldo pulsare che aveva riecheggiato attraverso tutto il suo corpo.

Rebecca aveva soffocato nel cuscino un mugolio deliziato che preferiva non venisse udito dal resto della famiglia. Dopodiché, aveva riassettato il pigiama e si era girata sul fianco, molle e appagata, con i nervi che mandavano ancora deboli bagliori, come braci dopo un incendio. In pochi istanti si era addormentata.

Era stato un sonno profondo e pieno di sogni colorati, e Rebecca sarebbe stata ben felice di restare a letto fino all'ora di pranzo, visto che erano iniziate le vacanze di Pasqua. Purtroppo, alle sette e mezzo i suoi occhi si erano aperti e non avevano più voluto richiudersi.

Residui delle emozioni della sera prima, poco ma sicuro.

Rebecca prese la moka dalla credenza e spalancò la bocca in uno sbadiglio che quasi le disarticolò la mandibola. Aveva le palpebre di piombo, la testa piena d'ovatta e si sentiva immensamente felice.

Mise il caffè sul fuoco e, mentre aspettava che fosse pronto, ripercorse la conversazione con Savino, come già aveva fatto la notte prima: pensò ai suoi sguardi, ai suoi gesti, al modo con il quale le aveva stretto il mignolo, con una delicatezza affettuosa che sembrava compensare per l'abbraccio che non potevano darsi; ricordò il momento nel quale si erano salutati e l'inaspettata intensità dello sguardo di Savino, come se avesse voluto esprimere qualcosa che le parole non bastavano a comunicare. Era stata riluttante ad andare via.

Adesso, si accorgeva di avere già un intenso desiderio di rivederlo. Più intenso, perfino, della voglia di rianimare il suo corpo con la caffeina dopo quella notte troppo breve.

La moka gorgogliò. Rebecca prese un pacco di Cuor di Mela e un'arancia e si voltò verso il soggiorno per vedere Leo seduto al tavolo, pure lui con l'aria di chi si è appena svegliato.

"Che me fai un caffè con la Nespresso?"

"Sono finite le capsule. Meno male che abbiamo la moka."

"Facciamo a metà, allora?"

"Volevo bermi un caffè doppio," mugugnò Rebecca, guardando la caffettiera con fare desideroso. "Non ho dormito un cavolo stanotte."

"Sharing is caring," cantilenò Leo, strappandole un sorriso. "Dai, facciamo due terzi a te e il resto e me. Me lo allungo con il latte."

"Aggiudicato."

Rebecca sedette al tavolo accanto a Leo e prese il primo sorso dalla tazza, sentendo la nebbia nel cervello che iniziava a dissiparsi. Sgranocchiò due biscotti e il suo stomaco le inviò una rapida missiva di riconoscenza.

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