Starman

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He's told us not to blow it
'Cause he knows it's all worthwhile

*

Nella sceneggiatura di Rebecca, la bambina interpretata da Cecilia avrebbe dovuto essere una figura leggiadra ed evanescente, comparsa dal nulla per guidare la protagonista verso l'avvenire; un simbolo di rinascita e speranza, una silfide vestita di bianco i cui piedi, recitava lo screenplay, sembravano appena sfiorare il suolo contaminato dal virus e dalla malvagità umana.

Rebecca era una regista e sceneggiatrice piena d'immaginazione, pensò Savino, perché Cecilia non sembrava affatto una silfide che sfiorava appena il suolo, ed era leggiadra ed evanescente più o meno come una carica di bisonti in un negozio di cristalleria.

Cinque volte avevano ripetuto la scena nella quale sua sorella, con indosso il vestito candido che Rebecca le aveva procurato, doveva fare capolino da un portone chiuso, guardarsi intorno, girare gli occhi su una figura fuori campo (la Ragazza), avanzare verso di lei e tenderle le mano; altrettante volte, la regista aveva segnalato con gentilezza a Cecilia che bisognava ricominciare da capo.

Ai primi due tentativi, la giovane attrice esordiente era uscita troppo in fretta dal portone. La terza volta si era guardata intorno con la frenesia di chi è in ritardo per uscire e non si ricorda dove ha messo le chiavi di casa. La quarta volta, Cecilia era inciampata nei suoi piedi ed era piombata addosso a Rebecca, che per fortuna l'aveva presa al volo. Infine, sua sorella aveva ripetuto la scena per la quinta volta con gli occhi bassi e i movimenti rigidi come quelli di una marionetta, perché iniziava a diventare nervosa.

Savino era incerto fra ridere e dispiacersi.

"Ok, Cecilia, facciamo una pausa e poi riproviamo, ok?" propose Rebecca, senza mostrare segni di impazienza. "Non c'è fretta, abbiamo un sacco di tempo."

Da aiuto regista quasi esperto, Savino sapeva che non era vero: se il sole si fosse abbassato troppo sull'orizzonte o se il cielo fosse diventato nuvoloso, avrebbero dovuto rimandare tutto all'indomani.

Cecilia iniziò a strappare nervosamente le foglie da un'aiuola. Dopo qualche momento, si girò verso Rebecca e le rivolse una lunga frase confusa, con un'espressione abbattuta dipinta in viso.

L'altra aggrottò le sopracciglia, perplessa. "Ehm, scusami, Cecia... non ho afferrato quello che hai detto."

"Ha detto," intervenne Savino, "che le dispiace, ma non ha mai recitato nella parte di..."

Sua sorella lo incenerì con lo sguardo. "So parlare! Da sola!" esclamò, a denti stretti. Con un gesto stizzoso, gettò addosso a Savino una manciata di foglie strappate. I suoi capelli sembravano un cespo di fusilli imbizzarriti.

Savino si riparò con una mano dalle foglie. "Ho capito, Cecia! Statte carma, ok?" protestò. "Stavo cercando di aiutarti. E che cavolo!"

Cecilia incrociò le braccia, si appoggiò al muro e chinò la testa, lasciando che i ricci scompigliati le cadessero sulla faccia.

"Non sono un'attrice," borbottò. "Sono un'astronauta."

Rebecca le andò vicino, rispettando la distanza di un metro e con una mascherina FFP2 che le copriva il volto. Indossava il completo da uomo e il borsalino che le sarebbero serviti a interpretare le scene successive.

"Tutti possono recitare," affermò, incoraggiante. I suoi occhi sorrisero a Cecilia. "Anche le astronaute."

L'altra sospirò. "Riproviamo?"

Rebecca annuì. "Facciamo così: lascia perdere quello che ti ho detto prima. Quando la scena inizia, pensa di essere un'astronauta. Insomma, sii te stessa!" Allungò il braccio e spostò lentamente la mano da sinistra a destra, come per tracciare la linea di un orizzonte remoto. "Immagina di essere appena sbarcata su un altro pianeta. Il portellone della tua astronave si è aperto e tu stai guardando un mondo alieno per la prima volta. L'ultima frontiera."

Una playlist per la fine del mondoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora