Battle cries and champagne
Just in time for sunrise*
Savino venne spinto fuori dal sonno da un movimento improvviso. Accanto a lui, Rebecca si era drizzata a sedere, con le palpebre a mezz'asta, una mano tra i capelli scompigliati e l'espressione confusa di chi, per un momento, non sa dove si trova.
Abbiamo dormito insieme, pensò Savino, tutto giulivo. Sollevò a sua volta il busto e si accorse di avere le giunture anchilosate e le dita intirizzite per il freddo. Rabbrividì e incrociò le braccia al petto.
"Ohi, Becca..." mormorò, sorridente.
L'altra si voltò di scatto. "Quanto cazzo ho dormito?" urlò, spalancando di botto gli occhi.
Savino sussultò e alzò le mani. "Ahò, calma! Non lo so... stavo dormendo anch'io."
"Cazzo!" Rebecca balzò in piedi, frugò in tasca e tirò fuori il telefono. "È scarico! Non si accende!"
"Aspetta," disse Savino, cercando il suo smartphone. Alzò lo sguardo verso l'orizzonte e vide una striscia sottile di luce rosea che tracciava il profilo del centro storico, dove l'Altare della Patria si innalzava dai palazzi circostanti. La volta celeste era ancora scura, ma il nero aveva lasciato spazio al blu profondo che precede l'alba. La luna era tramontata. Restavano solo il bianco splendore di Venere e una manciata di pallide stelle a sorvegliare il cielo in attesa del sole.
Savino guardò lo schermo del telefono. "So' le sei e cinque."
"Cazzo, cazzo, cazzissimo!" imprecò Rebecca, guardandosi intorno frenetica, come se una soluzione miracolosa potesse apparire dal bosco o dal sentiero. "È tardi, è veramente tardi! Perché non mi hai svegliato, Savino?"
"Secondo te?" ribatté lui, irritato dal fatto che Rebecca gli stesse dando la colpa per quella situazione. "Stavo a dormi' pur'io!"
"Cazzo!" ripeté l'altra, stringendo gli occhi e i pugni in un gesto di impotenza. "I miei potrebbero svegliarsi tra poco!"
Savino visualizzò all'improvviso, con piena chiarezza, l'entità del guaio nel quale si erano cacciati. "I miei potrebbero essere già svegli," affermò, maledicendo la folle abitudine dei suoi genitori di alzarsi all'alba anche quando non dovevano andare al lavoro.
"Daje, Savi', corri! Corri!" fece Rebecca, tendendogli la mano.
Savino la strinse e cominciò ad alzarsi, ma non appena il suo peso gravò sul piede destro sentì una fitta orrenda attraversare la caviglia. Imprecò a voce alta e ricadde a terra.
"Che c'è?" volle sapere Rebecca.
"La caviglia mi fa abbastanza male," soffiò tra i denti Savino. Aveva minimizzato, perché a dirla tutta, la sensazione era che qualcuno gli stesse staccando il piede con una sega arrugginita.
Si rialzò faticosamente, usando solo la gamba sinistra.
"Ce la fai a camminare?"
"A saltelli, credo."
"Oh, no. Oh, no no no no no," gemette Rebecca. "Non dovevamo venire qui. Siamo stati due deficienti!"
"Grazie, eh."
"Reggiti a me. Adesso prendiamo la bici e scendiamo da dove siamo venuti. Pedalo io, tu ti metti dietro."
Savino scosse la testa. "Non possiamo farcela in discesa. È ripida e ci sono troppe buche," affermò. "Scusa, ma preferisco farmi inculare dai miei che rompermi l'osso del collo in bici."
Gli passò per la mente di chiamare di nuovo zia Alina, ma si rese conto che era un'idea improponibile: sua zia ci avrebbe messo almeno tre quarti d'ora ad arrivare e, soprattutto, lo avrebbe scuoiato vivo se avesse saputo che era fuggito di casa un'altra volta.
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Una playlist per la fine del mondo
Teen FictionRebecca e Savino hanno la stessa età, sono vicini di casa ed erano amici da bambini, prima di allontanarsi, come spesso capita. In un giorno come un altro, il Coronavirus arriva inaspettato a sconvolgere le vite di tutti: l'Italia è in lockdown, i c...