Nel sogno, Rebecca era andata alla Discoteca Laziale a comprare dei cd. Il negozio era immenso e vuoto. Il silenzio totale. Rebecca vagava per gli scaffali, prendendo cd dalle copertine irriconoscibili. Una grande finestra rettangolare faceva entrare la luce arancione di un sole rigonfio, adagiato sull'orizzonte. Fra i raggi danzavano tanti minuscoli granelli di polvere.
Rebecca andò alla cassa a pagare. Dietro il bancone c'era David Bowie, traslucido e rettiliano, come appariva sulla copertina di Heathen. Rebecca gli passò i cd e lui iniziò, impassibile, a scansionarli. Il lettore laser fece bip bip bip.
"Fanno sessantaquattro euro e venticinque," disse Bowie.
"Hai mai notato quanto sono cari i cd, Davey?" chiese Rebecca, in tono confidenziale. "Ci credo che non li compra più nessuno. Leo dice che in Inghilterra costano molto meno."
"È vero," confermò l'altro. "A proposito: vedo che oggi non hai comprato nessuno dei miei album."
Rebecca guardò le copertine dei cd, solo per accorgersi che non riusciva a decifrare nessuna delle immagini. Anche se in quel mucchio ci fosse stato il celeberrimo ritratto di Bowie con la folgore sul viso — Aladdin Sane — o il profilo dai colori autunnali che adornava Low, o la grande stella nera di Blackstar, non avrebbe potuto riconoscerli. Era frustrante.
"Comprerò il tuo prossimo disco quando esce," promise.
"Non uscirà più nessun disco," replicò Bowie, con fine rimpianto. "Sono già morto da quattro anni."
"Mi manchi tanto, sai?"
"Grazie, Becca."
Rebecca si girò per vedere se qualcuno stesse facendo la fila dietro di lei, ma non c'era nessuno. "Dove sono finiti tutti?"
Bowie mise i cd in una busta di carta e gliela porse. "Sono morti anche loro," affermò, senza la minima increspatura nella voce. "Sei rimasta solo tu, Becca."
Avvertendo una sommessa inquietudine che stringeva le dita sul suo cuore, Rebecca voltò le spalle a David Bowie e corse fuori dal negozio. La strada era deserta. Le macchine erano arenate, immobili, accanto al marciapiede. Un autobus senza passeggeri né autista era fermo, con le porte spalancate, davanti alla pala gialla dell'ATAC.
Rebecca sentì un fischio e guardò in alto, verso il cielo roseo e solcato da nubi sottili di primavera: sciami di aeroplani luccicanti stavano precipitando al suolo come stelle cadenti.
Guardarli cadere era troppo orribile: Rebecca distolse gli occhi e li posò su un cartellone pubblicitario montato in cima a un condominio. Sulla vasta superficie bianca campeggiava la scritta CORONA, in lettere mastodontiche, insieme alla faccia color biscotto di Donald Trump, piena di arroganza e di compiaciuta ottusità.
*
Rebecca si ridestò con un sussulto, schiuse le palpebre e fissò le strisce di luce pallida dietro le persiane accostate.
La sua mente impiegò qualche secondo a divincolarsi dal nebuloso reame dei sogni e riaffiorare nel mondo reale. Era la mattina del dieci marzo. Avrebbe dovuto svegliarsi accanto a Sid e al suo placido russare, invece era a casa sua ed era in quarantena.
Prese il telefono e guardò l'ora: erano le sei e venti. Sospirò e gettò di lato la coperta. Non le capitava spesso di alzarsi all'alba, ma gli eventi dalla sera precedente iniziavano già ad affollare i suoi pensieri e sentiva che non sarebbe riuscita a riaddormentarsi.
Andò al bagno e sedette sulla tazza, senza resistere alla tentazione di dare una scorsa alle news sul telefono. I titoli degli articoli squillavano come le trombe del Giudizio: Emergenza Coronavirus. Coronavirus, dieci giorni per evitare il collasso. Coronavirus in Italia, 9172 casi e 463 morti. Tutti in casa! RESTATE A CASA.
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Una playlist per la fine del mondo
Teen FictionRebecca e Savino hanno la stessa età, sono vicini di casa ed erano amici da bambini, prima di allontanarsi, come spesso capita. In un giorno come un altro, il Coronavirus arriva inaspettato a sconvolgere le vite di tutti: l'Italia è in lockdown, i c...