Rebel Rebel

194 20 80
                                    

Hey babe, your hair's alright
Hey babe, let's go out tonight
You like me, and I like it all
We like dancing and we look divine

*

Rebecca cambiò posizione nel letto per la centesima volta, sbuffò e maledisse il sonno che non voleva arrivare. Doveva essere già passata la mezzanotte. Nugoli di pensieri inquieti le ronzavano ancora in testa come insetti.

Avvertì il desiderio di mandare un messaggio a Savino — probabile che fosse ancora sveglio — ma fu bloccata dall'imbarazzo e dal timore di veder comparire le temute spunte azzurre senza risposta. Non voleva restare sveglia per il resto della notte a guardare il telefono e a chiedersi se Savino si era stancato, una volta per tutte, di avere a che fare con lei.

Dobbiamo chiarirci. Dobbiamo assolutamente chiarirci, si ripeté. Ma erano giorni che quella considerazione le girava in mente come un disco rotto. Sì, ma cosa gli dico? E soprattutto: che cosa voglio, io? Perché non riesco a capire cosa provo e quali sono le mie intenzioni?

Irritata da quelle domande inconcludenti e dalla sua insonnia, Rebecca prese il telefono dal comodino per guardare l'ora e sgranò gli occhi quando vide che stava ricevendo una chiamata silenziosa da Savino in quel preciso istante.

Fece scorrere il dito sullo schermo così in fretta che lo smartphone le scappò dalle mani e rotolò giù dal letto. "Cazzo!" esclamò fra i denti, lanciandosi sul pavimento a testa bassa per recuperarlo. Andò a tastoni per qualche secondo, ma il telefono sembrava sparito. Doveva essere caduto con lo schermo rivolto a terra.

Trascinandosi appresso le lenzuola e imprecando sottovoce, Rebecca girò su sé stessa, ispezionò con gli occhi la stanza buia e, infine, distinse un tenue bagliore sotto il letto. Come aveva fatto l'aggeggio a infilarsi fin laggiù?

Rebecca allungò il braccio, agguantò il telefono e lo portò all'orecchio, sdraiata per terra nel groviglio delle coperte.

"Pronto?" rispose. Subito dopo, si schiacciò una mano sulla bocca, nel timore di aver parlato a voce troppo alta.

"Becca so' io! So' Savino!" annunciò quella voce tanto gradita e familiare. "Allora ce sei!"

Nello stomaco di Rebecca presero il volo le farfalle. "Sì! Sì, scusa, mi era caduto il telefono," sussurrò, con il fiato corto. "Ciao. Che fai? Non mi aspettavo che chiamassi a quest'ora."

"Veramente sto qua sotto," affermò Savino. Nella sua voce vibrava un sorriso così nitido che Rebecca poteva quasi vederlo. Il cuore prese a bussarle forte contro il petto. "Senti, devo chiederti se ti va di fare una cosa insieme. Prima di attaccarmi in faccia, per favore, ascoltami."

Rebecca si liberò dalle lenzuola, balzò in piedi e andò alla finestra. "Ma sei matto? A mezzanotte dobbiamo fare una cosa insieme, con la quarantena?"

"Proprio perché c'è la quarantena, la dobbiamo fare!" spiegò di fretta Savino, mangiandosi le parole per l'eccitazione.

"Abbassa la voce," gli intimò Rebecca. Aprì le persiane, si affacciò e lo vide: era in piedi sotto un lampione, stagliato in un cerchio di luce ambrata, con la mano alzata per salutarla. Aveva l'aria di essere la persona più felice della terra.

Un pensiero limpido sgorgò come acqua fresca dalla sua mente. Cavolo, quanto mi piaci, Savino. Mi piaci tantissimo.

"Ok, ok," mormorò il suo vicino. Rebecca lo vedeva muovere le labbra, con il telefono premuto sull'orecchio. "Allora, stavo pensando che non è giusto che io ho potuto vedere Roma di notte durante il lockdown e tu invece no. Pensavo, ecco, che è un'esperienza che dovresti fare anche tu. Ho preso la bici giù in cantina. Se ti va di scendere, ti porto dove vuoi."

Una playlist per la fine del mondoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora