Bring Me the Disco King

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Feed me no lies
I don't know about you

*

Rebecca cambiò posizione sulla panchina, si impose di non guardare di nuovo il telefono, tormentò la punta della treccia per qualche secondo, poi guardò il telefono. Maledisse sé stessa per averlo fatto, maledisse Savino e si alzò in piedi, sbuffando.

Ancora quelle cavolo di spunte blu senza risposta! Erano lì dalla sera precedente. Aveva mandato un messaggio a Savino dopo cena, chiedendogli se gli andava di scendere in cortile, oppure di guardare un film: lui aveva visualizzato, ma senza replicare. Rebecca era uscita ed era andata ad appostarsi vicino al suo portone, pensando che sarebbe sceso al volo, senza disturbarsi a scriverle un messaggio.

Invece era rimasta sola in cortile come una scema, fissando la finestra di Savino, tentata di citofonargli o di chiamare il suo nome, ma troppo imbarazzata per farlo. Non voleva dargli l'impressione di non poter stare un solo giorno senza vederlo.

Cercando di ignorare la delusione che le pesava addosso come uno zaino pieno di sassi, aveva fatto il giro di Villa Riccio — tanto per fingere di essere uscita solo per sgranchirsi le gambe — ed era tornata a casa.

Aveva passato tutta la giornata successiva ad aspettare una risposta, detestandosi per essere caduta nella trappola del visualizza ma non risponde e troppo orgogliosa per domandargli dei chiarimenti. Il pomeriggio, era scesa in cortile per girare una scena del film, ma i suoi passi l'avevano condotta subito alla panchina dove era solita incontrarsi con Savino.

Si era seduta. Aveva aspettato. Si era ripromessa di non mandare messaggi, di non sembrare bisognosa. Ma il suo stupido vicino di casa non arrivava.

Ok, gli mando un messaggio, decise, infilando l'unghia del medio in bocca per masticarla. Accortasi di quel gesto, allontanò il dito e lo sostituì con il mignolo. Niente toni imploranti. Mi fa piacere se ci vediamo, ma in fondo che me ne importa? Non gli ho parlato per anni e stavo benissimo. Piglio leggero, noncurante. Come se non facesse differenza se viene o non viene.

Aveva appena iniziato a digitare quando, colta da una percezione extrasensoriale, alzò lo sguardo dal telefono e vide Savino arrivare lungo il viale, con i jeans e la polo rossa che gli stava così bene, senza giacca perché quel cretino non aveva la percezione del freddo, come lui stesso aveva confessato. Sentì come lo schiocco di una scintilla nella cassa toracica, mentre veniva invasa da un sentimento contradditorio di felicità svolazzante e sordo risentimento per il modo in cui Savino l'aveva lasciata ad aspettare.

In realtà la felicità era l'emozione più forte, ma non l'avrebbe ammesso neanche sotto tortura.

"Sempre in giro come Finfirillino ai bagni, vedo!" esclamò, guardandogli le braccia scoperte, con la peluria chiara sollevata dalla pelle d'oca (cavolo, non era un brutto spettacolo). "Non senti che c'è vento?"

Savino fece spallucce e storse la bocca in un mezzo sorriso. "C'è il sole, però."

I suoi occhi la cercarono brevemente, per poi fissarsi sull'aiuola che costeggiava il vialetto, come se nel fogliame fosse nascosto qualcosa di molto interessante.

Rebecca si accorse che, nonostante il suo proposito di mostrarsi fredda, aveva le labbra distese fin quasi alle orecchie. Ridimensionò subito il sorriso e incrociò le braccia; con la mano destra, premuta sotto il seno opposto, percepì il galoppo veloce del cuore.

Perché doveva essere così stupidamente gioiosa?

"Allora, giriamo la scena del portone socchiuso?" domandò, per distrarsi da quelle fastidiose reazioni fisiologiche. "Ho qui lo storyboard." Si molleggiò sulle scarpe da ginnastica, nella speranza di riuscire a scaricare un po' dell'energia nervosa che si sentiva addosso.

Una playlist per la fine del mondoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora