Don't stay in a sad place
Where they don't care how you are*
Leo emerse dalla sua camera nel tardo pomeriggio, dopo aver dormito per quasi tre ore, stropicciandosi gli occhi rossi. Aveva i capelli sporchi e disordinati: appena arrivato a casa, si era buttato sul letto vestito, senza nemmeno farsi la doccia o mangiare un boccone.
La tv era spenta e la luce del sole che si avviava al tramonto filtrava, bassa e pigra, dalle finestre del soggiorno. Rebecca stava appoggiata al davanzale, con le ante spalancate, e un po' guardava di sotto, un po' lo schermo del telefono. Sentendo arrivare il fratello, si girò per sorridergli. Perlomeno, notò, si era tolto i vestiti con i quali aveva viaggiato: aveva indosso un paio di pantaloni della tuta puliti e una maglietta dei Van Halen.
"Ohi," grugnì Leo, grattandosi la scura barba incolta.
"Ciao," salutò Rebecca. "Dormito bene?"
"Abbastanza. Mi faccio un caffè, ne vuoi uno?"
"Sì, grazie."
Leo arrancò in direzione dell'angolo cucina e un minuto dopo Rebecca udì il ronzio della macchinetta Nespresso. Suo fratello tornò con due tazzine fumanti e si appoggiò al davanzale accanto a lei.
Passarono un minuto sorseggiando in pacifico silenzio.
"Non c'hai idea di quanto sono contento di essere a casa," confessò Leo, apparentemente rianimato dalla caffeina. I suoi occhi vagarono sul cortile sottostante, le palazzine di Villa Riccio, gli alberi e le siepi: sembrava non avesse mai visto niente di così bello e confortante. "Tornare è stato un incubo. Pensavo che sarei rimasto intrappolato a Londra fino alla fine della pandemia."
Leo aveva subito la cancellazione di due voli, e dopo la seconda volta era dovuto rimanere in albergo a Heathrow per tre giorni, cercando un modo per partire. Alla fine, grazie all'aiuto dei loro genitori, rimasti in piedi a fare telefonate fino a notte fonda, era riuscito a trovare un posto su un volo speciale organizzato dal Ministero degli Esteri. Nel frattempo, anche il Regno Unito era entrato in lockdown.
"Come vanno le cose, lassù?" chiese Rebecca.
Leo fece spallucce. "All'inizio, tutti facevano finta di niente. Preoccupatissimi per quello che stava succedendo in Italia, per carità. Venivano da me a dirmi ma la tua famiglia, tutto bene? Però, appena accennavo al fatto che forse bisognava prendere qualche provvedimento anche in Inghilterra, mi guardavano strano." Leo ridacchiò e finì il caffè in un lungo sorso. "Questo è il problema con gli inglesi: non possono credere che se qualcosa va male in un altro paese, possa succedere lo stesso anche a loro. Meno male che alla fine il governo si è deciso a chiudere tutto. Meglio tardi che mai."
Rebecca e i suoi genitori avevano iniziato a preoccuparsi seriamente per il destino di Leo quando il Primo Ministro britannico, con il suo orrido cespo di capelli giallini da sosia scolorito di Trump, era andato in televisione per fare un annuncio sulla pandemia che poteva riassumersi con le parole: "Morirete tutti, ma pazienza." Era stato allora che Leo aveva iniziato i preparativi per lasciare il dormitorio universitario e tornare di volata in Italia.
"È vero che gli inglesi hanno saccheggiato la carta igienica?" chiese Rebecca.
"Beh, come altro puoi affrontare l'apocalisse in un paese dove non esiste il bidet?" commentò Leo, divertito. "Quando si è capito che avrebbero fatto il lockdown, è stato il panico. Ho visto la gente che usciva dal supermercato con cinque pacchi da nove rotoli uno sopra all'altro."
"Spero che si siano ricordati di prendere qualcosa da mangiare. Quando sono andata con mamma al Todis, la sera prima della quarantena, avevano svuotato gli scaffali. Pensa che era finita tutta la pasta, avevano lasciato solo le penne lisce."
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Una playlist per la fine del mondo
Teen FictionRebecca e Savino hanno la stessa età, sono vicini di casa ed erano amici da bambini, prima di allontanarsi, come spesso capita. In un giorno come un altro, il Coronavirus arriva inaspettato a sconvolgere le vite di tutti: l'Italia è in lockdown, i c...