Teenage Wildlife

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A real life adventure worth more than pieces of gold
Blue skies above and sun on your arms
Strength in your stride and hope in those squeaky clean eyes

*

Savino girò la pagina del libro di storia, fissò costernato i paragrafi irti di parole e date e sospirò, passandosi le dita fra i capelli. Il giorno dopo aveva un'interrogazione e voleva assolutamente salvarsi il culo, ma dalla finestra socchiusa filtravano i raggi di sole e l'amabile brezza di quella domenica pomeriggio e restare seduto alla scrivania si faceva sempre più difficile. Guardò l'ora e decise che avrebbe concesso a Carlo Magno altri venticinque minuti: alle quattro in punto, avrebbe pronunciato la sacra formula quello che so, so e avrebbe chiuso il libro, sperando che la sua preparazione fosse sufficiente per un sei.

Aveva appena preso quella confortante decisione, quando il citofono di casa fece risuonare il suo squillo gracchiante. Savino ebbe un moto di sorpresa: nessuno si presentava a casa non annunciato, durante una quarantena. Chi poteva essere?

Subito dopo, venne colto da un felice presentimento; sperando di non sbagliarsi, saltò dalla sedia e corse al citofono prima che i suoi genitori potessero batterlo sul tempo.

"Sì?" disse nel ricevitore.

"Savino sono io," replicò la voce di Rebecca. "Puoi scendere? Sto qua sotto."

Nell'udire quelle parole, Savino si sentì improvvisamente più alto e più leggero, come se un inaspettato soffio di vento l'avesse sollevato da terra; una sensazione piacevolissima, sulla quale decise, tuttavia, di non soffermarsi.

"Becca, ma che stiamo negli anni Ottanta, che mi vieni a citofonare a sorpresa?" esclamò, soddisfatto di poterle ritorcere contro la battuta della sera prima. "Mandami un messaggio se vuoi che se beccamo, no?"

"E che ne sapevo che il tuo telefono non era ancora sequestrato dai tuoi?" ribatté l'altra, piccata. "Con tutte le cazzate che combini, era probabile!"

"Questa affermazione potrebbe anche offendermi."

"Offenditi più tardi. Allora, scendi o no? Mi serve una mano con il film. Se ti va."

"Arrivo."

Tutti i pensieri relativi allo studio erano stati travolti dalla corrente d'aria fresca portata dall'arrivo di Rebecca, scomparendo all'orizzonte come uno sciame di palloncini dispersi.

Savino riattaccò, andò a prendere chiavi, telefono e giacca jeans e si affacciò in soggiorno, per annunciare a tutti i presenti che stava andando via.

"Savi, hai finito i compiti?" domandò sua madre, alzando la testa dall'ennesima autocertificazione che stava compilando a penna.

Che palle. "Sì, certo," rispose Savino, pensando che, in fondo, altri venticinque minuti di studio non potevano fare una gran differenza su quello che sapeva o non sapeva dei Carolingi. "Magari prima di cena ripasso un altro po'," affermò, per indorare la pillola.

La mamma annuì e Savino si volatilizzò.

Rebecca lo stava aspettando davanti al portone. Indossava un completo nero da uomo, troppo grande per lei, una camicia bianca stropicciata con il colletto aperto, vecchie scarpe marroni e un cappello borsalino di feltro scuro, oltre ai suoi soliti occhiali. Nella mano destra stringeva una specie di stecca di metallo. Aveva i capelli legati sulla nuca in una crocchia disordinata.

Savino rimase interdetto davanti a quell'abbigliamento bizzarro; doveva aver fatto una faccia buffa, perché Rebecca si mise a ridere quando i loro sguardi si incrociarono.

"Che c'è? Stupito?" gli chiese.

"Beh, non mi aspettavo di trovarti vestita così," spiegò Savino, percorrendo la figura della sua vicina con un gesto della mano.

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