And he was awful nice
Really quite paradise
And he sang all night, all night long*
Rebecca appoggiò le mani alla staccionata di legno che delimitava la terrazza panoramica, abbracciò Roma con lo sguardo e si abbandonò al senso di irrealtà che la accompagnava da quando aveva messo piede fuori dalle mura di Villa Riccio.
Fin dove l'orizzonte scompariva, brillavano le luci della città, distanti e silenziose come le stelle in un cielo alla rovescia. Minuscoli condomini, riparati da minuscoli tetti, erano gremiti di minuscole finestre e circondati da minuscole strade illuminate da minuscoli lampioni. Ma non c'era più nessun minuscolo abitante in quella metropoli, immaginò Rebecca. Lei e Savino erano rimasti soli al mondo.
Proiettando lontano la sua immaginazione, vide mille altre città vuote dormire oltre i confini di Roma: vuoti gli Champs-Élysées sotto l'Arco di Trionfo, vuote le rive del Tamigi sorvegliate dal Big Ben e dal London Eye, vuote le birrerie tedesche e i coffee shop di Amsterdam, vuoti i grattacieli cinesi e quelli americani, identici monumenti di cristallo innalzati al nulla. Erano vuote le strade incise sulla superficie della Terra, vuoti i treni, le stazioni e le ferrovie, vuoti i parcheggi degli autobus e delle corriere, vuoti gli aeroporti e vuoti gli aerei dimenticati sulle piste d'atterraggio.
Contemplare quella visione era come strappare via il fondale di un teatro e scoprire il muro spoglio celato dietro le scenografie. Per un attimo — un attimo lungo e vertiginoso — Rebecca fu sicura che quello fosse il mondo reale, lo fosse sempre stato, e la sua vita di prima soltanto un sogno.
Si riscosse con un sussulto e voltò la testa verso Savino, che stava appoggiato allo steccato a un paio di metri di distanza da lei, illuminato solo da un lampioncino pallido e distante. Lui si accorse di essere guardato e sollevò le labbra in quel suo sorriso dolce e paraculo insieme. Rebecca pensò che era il sorriso di chi ha scoperto una cosa bella sul tuo conto che nemmeno tu conoscevi, e ha intenzione di farsi pregare un po' prima di rivelartela.
"Ti fa ancora male?"
Savino aveva la schiena tesa e tutto il peso del corpo spostato sulla gamba sinistra. Tuttavia, si limitò a fare spallucce, ostentando noncuranza in un tipico (e inutile) sfoggio virile di sprezzo verso il dolore fisico.
La distanza che li separava le sembrò, all'improvviso, troppo grande.
"Sav," lo chiamò, a bassa voce, "vieni più vicino, per favore?"
L'altro si mosse subito, poi si bloccò. "Non ho la mascherina."
"Non fa niente. Non ce l'ho nemmeno io."
Savino venne da lei e appoggiò gli avambracci alla staccionata. Il suo gomito toccò quello di Rebecca. La cupola luminescente di San Pietro era dritta davanti a loro, una rotonda goccia dorata che puntava al cielo.
Rebecca sospirò. "Sono stanca di pensare sempre al virus," confessò, guardando lontano. "E sono stanca di misurare le distanze al centimetro e di preoccuparmi per ogni minimo gesto." Stanca di non poterti abbracciare, stanca di non poter semplicemente rompere gli indugi e darti un bacio, aggiunse dentro di sé.
"Secondo me, se dovevamo contagiarci a vicenda l'avevamo già fatto a Villa Riccio," affermò Savino, nel tono di chi per metà è convinto di ciò che dice e per metà sta cercando di convincersi.
"Forse. Comunque sia, proviamo a far finta che non ci sia niente da temere, stasera?"
"Proviamo."
Restarono in silenzio a guardare la città che luccicava ai loro piedi, come divinità curiose dalla cima dell'Olimpo. Dopo qualche momento, Savino spostò la mano in un gesto apparentemente casuale e le loro nocche si sfiorarono.
STAI LEGGENDO
Una playlist per la fine del mondo
Teen FictionRebecca e Savino hanno la stessa età, sono vicini di casa ed erano amici da bambini, prima di allontanarsi, come spesso capita. In un giorno come un altro, il Coronavirus arriva inaspettato a sconvolgere le vite di tutti: l'Italia è in lockdown, i c...