Capitolo 1: L'inizio.

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Giorno 1: John

Mi tolsi la maglia e mi lasciai cadere sul divano, coprendomi gli occhi con il braccio, esausto e sconfortato. Anche oggi nessun passo avanti, da tre mesi che andava avanti la mia ricerca e ancora non avevo trovato niente. Sbuffai. Sinceramente non sapevo neanche perché mi fossi fissato con lei. Era da quattro mesi che non riuscivo più ad andare a letto con nessuna perché il ricordo di lei, dei suoi baci e delle sue mani tra i miei capelli mi assillavano. Era bastata una notte per non riuscire più a togliermela dalla testa. Di lei sapevo solo due cose: nome e anni. Ma erano dettagli, solo dettagli che non mi conducevano mai da nessuna parte. Sbattei la mano sul tavolino vicino al divano, sul quale ero collassato. Avrei voluto ubriacarmi ma sarebbe finita male, la maggior parte delle volte finiva in una rissa e adesso non era ciò che mi serviva. Stavo per alzarmi, per un meritato riposo, quando il campanello suonò. Imprecai. Era quasi l'una e ancora qualcuno mi cercava. Possibile? Ero tentato di non rispondere ma la curiosità e il senso di colpa che mi avrebbero assillato se avessi lasciato fuori chiunque ci fosse stato dietro alla porta sarebbero stati troppo forti. Andai verso la porta, sospirai e aprii. Il respiro mi si mozzó appena vidi chi c'era dall'altra parte. Lei. In tutta la sua bellezza. Il suo viso non era cambiato: un viso leggermente allungato, naso alla francese, labbra carnose, guance leggermente rosa e carnagione chiara. Il tutto era contornato da lunghi capelli neri, ora legati in una treccia a spina di pesce disordinata. Indossava dei leggins neri e sopra un cappotto bianco leggero a bottoni e ai piedi un paio di ballerine nere. Feci vagare lo sguardo su tutto il suo essere e solo dopo notai i due borsoni che teneva ben stretti in mano. Rialzai lo sguardo e incontrai il suo. Mi accorsi che sotto gli occhi c'erano delle occhiaie piuttosto marcate e che i suoi occhi erano molto lucidi, come se potesse mettersi a piangere da un momento all'altro. La guardai negli occhi e lei ricambió lo sguardo. "J-john?" La sua voce era insicura e flebile. La guardai e, come ipnotizzato, annuì. La guardai per interminabili secondi mentre i suoi occhi facevano avanti e indietro dalla porta a me. "P-posso entrare?" Come in trans mi spostai per farla passare. Mi passó di fianco e mi sfiorò una mano e io d'istinto sorrisi. Chiusi la porta e la vidi poggiare i borsoni a terra, vicino al divano. "Posso sedermi?" La voce ora era un pó più sicura e un pó più forte di prima. Annuii. Lei si sedette e io la raggiunsi immediatamente. Mi guardò per un secondo e poi tornò a parlare. "Ti ricordi di me? Sono A-" La interruppí bruscamente, sapevo fin troppo bene chi era. "Sei Ariadne, diciannove anni e ci siamo...incontrati ad una festa circa cinque mesi fa" Quando dissi 'incontrati' lei arrossí e abbassò lo sguardo. 'Incontrati' non era proprio il termine esatto, avevamo fatto ben più di quello. Lei sospirò e mi guardò preoccupata, non capii. "Probabilmente ti starai chiedendo perché sono comparsa così improvvisamente a casa tua, John" In effetti.....Alzò un sopracciglio e si spostó di lato sul divano, per farmi più posto. Forse dovevo tornare a parlare, ma era come se le mie corde vocali si fossero disintegrate. Mi misi comodo vicino a lei e parlai. "In effetti si" Lei annuì e mi sorrise triste, io inarcai il sopracciglio e gli feci segno di parlare. "Io sono qui per chiederti aiuto. Dopo....dopo la serata passata insieme io sono tornata a casa mia, a Washington, ero a New York solo per una settimana, passata da mia sorella. Ero a quella festa con lei. " Si fermò e sospirò. Ecco perché non la trovavo, era di Washington. Gli feci segno di andare avanti. "Una volta tornata a casa sono stata male per parecchi giorni e...ho avuto un ritardo. Io...in quella settimana ero stata solo con te e il mese prima le mestruazioni mi erano venute. Ho fatto un test di gravidanza ed....ed è risultato positivo. Sono incinta" Il respiro mi si bloccò in gola. Lei incinta? Incinta, incinta di mio figlio? O. Porca. Puttana. Lei mi guardò preoccupata, ma andò avanti a spiegare. "Io vivo con i miei e ho cercato di tenerglielo nascosto, ma continuavo ad avere nausee molto forti. Sono stata obbligata a dirglielo, ma non l'hanno presa bene, e mi hanno buttata fuori di casa. Ho...ho provato ad andare da mia sorella ma lei è via per lavoro e quindi....ho pensato a te." Mi alzai dal divano, mi misi le mani tra i capelli e feci avanti e indietro per tutta la stanza. A un certo punto sentii una mano sul mio braccio e mi girai. I suoi occhi imploravano il mio perdono. E lì vidi riempirsi di lacrime e asciugarsi con la mano tremante una lacrima sfuggitale "Io...io non ti chiedo di far parte della vita di questo bambino ma solo di ospitarmi da te per qualche settimana, finché non troverò un lavoro e una casa per me e per il bimbo." Mi passai a ripetizione le mani tra i capelli. Cercavo questa ragazza da mesi e ora era comparsa, con un bambino, mio figlio. Non potevo averlo, non adesso. Non volevo un figlio. Ma in fondo era anche colpa mia se era in questa situazione e in più non mi stava chiedendo di far parte della vita del bambino, ma solo di ospitarla, non mi sarei dovuto preoccupare di niente. Sospirai, era mio dovere aiutarla. "Va bene, ho una stanza libera, per stasera puoi stare qui, ora è tardi ed è meglio andare a letto, domani è il mio giorno libero e potremmo parlare con più tranquillità" Lei sospirò e mi sorrise. "Grazie, grazie, non darò fastidio, non mi sentirai neanche. " Annuii e la accompagnai nella stanza che prima era di mia sorella, il tutto in religioso silenzio, ero ancora scioccato. La casa aveva una sala in comune con la cucina, in mezzo alla grande stanza c'era una porta che dava su un corridoio con in mezzo un bagno, alla sua sinistra e alla sua destra una stanza. La condussi nella stanza di sinistra, visto che quella di destra era la mia, e la feci entrare. Entrò e si guardò un pó intorno, appoggió i borsoni a terra e fece passare le dita sul grande letto matrimoniale che mia sorella aveva scelto. Si girò verso di me. "È molto bella, grazie" Gli sorrisi e mi appoggiai alla porta, guardandola. Era bellissima nella sua semplicità. Si tolse il cappotto e notai che portava una vecchia maglia degli AC/DC. Sorrisi. Abbassai un pó lo sguardo e mi bloccai. Da sotto la maglietta spuntatava un timido pancino, giusto per essere al quinto mese. Lei alzò lo sguardo e seguí il mio verso la pancia. Abbassò la testa e si girò, come se si vergognasse. Mi schiarii la voce. "Ti faccio vedere il bagno, purtroppo ne ho solo uno, quindi dovremmo condividerlo." "Non c'è problema, è gia tanto se mi ospiti." Sussurrò. Gli mostrai il piccolo bagno ma provvisto di tutto il necessario. Dopo la breve visita la riaccompagnai nella sua stanza. Entrò mentre io rimasi sulla porta. Si girò verso di me e il mio sguardo si calamitó sulla sua dolce pancina. Deglutí. Dolce. Quando parlai la mia voce rimbombó nella silenziosa stanza. "Lo terrai?" Lei alzò un sopracciglio."Il bambino" Arrossí e si portò una mano sul ventre, come a proteggerlo dai miei occhi inquisitori. Non gli avrei mai fatto del male. "Si, lo terrò, ma non dovrai per forza far parte della sua vita, probabilmente non lo volevi, almeno non con me e non ora, tranquillo, non te ne farò una colpa." Detto questo si avvicinò, facendomi intendere che voleva chiudere la porta. Mi scostai da essa e la osservai. Prima di chiuderla mi sorrise."Notte" Bellissima. "Notte" E la chiuse. Andai nella mia stanza e mi buttai sulla poltrona di pelle marrone di fianco alla grande vetrata della mia stanza, che si affacciava su Central Park. Chiusi gli occhi e per un attimo immaginai che questa sera non fosse mai avvenuta. Che Ariadne, la ragazza che cercavo da più di tre mesi, non fosse venuta. Che non mi avesse detto che era incinta di mio figlio. Ma, nonostante tutto, non avrei mai voluto che quella sera di cinque mesi fa non fosse mai avvenuta. Mi massaggiai gli occhi e controllai sull'orologio a parete l'orario: l'una e mezza. Era decisamente ora di andare a letto. Mi svestii e rimasi in boxer, mi buttai sul letto e chiusi gli occhi, concedendomi di dimenticare, almeno per quella notte, tutto.

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